Meglio tante piccole bugie che una verità detta male. Così è per un gruppo di amici in gita al mare e in testa Parigi, dove uno di loro sta lottando tra la vita e la morte: una ninfomane che ha solo paura di amare, un businessman gretto e irascibile, un padre di famiglia caduto in tentazione, uno scapolo logorroico e vanesio, un avventuriero senza onore.
Personaggi in cerca di un copione da recitare e un modo di schivare l'insostenibile bassezza dell'essere, che nessuno sopravvivrebbe a guardarsi dentro davvero. E allora omissis e parole a vanvera, sguardi fissi e altrove, inutili mosse e sincerità a singhiozzo. Come gocce di autenticità.
In definitiva performance attoriali (che altro?) in un film - il terzo di Guillaume Canet - che sin dal titolo vuol proferire/preferire menzogne. Morale al contrario del teatro, del cinema e di uno straordinario parterre di interpreti - da Marion Cotillard a Jean Dujardin (in versione parlata, a colori, non è meno bravo), da Benoit Magimel a Francois Cluzet - che vive recitando e recita vivendo. Simulo, dunque sono: formula cartesiana della maschera.
E se la cornice narrativa ricorda Il grande freddo di Kasdan, il quadro è un tableaux vivant di rara freschezza rubato al cinémà-veritè degli anni '70, ai Truffaut e ai Cassavetes. Canet ci mette più cuore che arte prendendo tempo anche troppo (oltre due ore e mezza!), ma è il pedaggio pagato a un cinema provvisorio e sincero, rifinito sulla decisione del momento.
Non mancano scene madri, strizzatine d'occhio e ricatti sonori (per le musiche si pesca un po' ovunque, da Iggy Pop a The McCoys), eppure va bene così. Conta stare lì, in mezzo a loro, saggiarne virtù e segreti, miserie (tante) e nobiltà (poche). Conta osservare da vicino il profilo cubista della loro - nostra - vita. Vale la pena scoprire come persino una storia senza morale possa insegnarci qualcosa. E' un film, questo, per chi alla verità preferisce perdonare l'errore. Come ha ammonito una volta qualcuno. Francese pure lui, indiscutibilmente.