Il Nord Est agricolo e operaio, il Veneto indipendentista e xenofobo, dell'integrazione e della disintegrazione, del lavoro e della crisi, piccola patria che potrebbe essere ovunque, in Italia, in Europa, nel mondo. E' qui che durante una calda estate, due ragazze - Luisa e Renata - diventano protagoniste di una storia di ricatti, e amori traditi. Entrambe vorrebbero abbandonare questa piccola patria, in mezzo a loro c'è Bilal, fidanzato albanese della prima, inconsapevole "strumento" di una vendetta che non farà prigionieri.

DopoLeonardo Di Costanzo, che proprio lo scorso anno a Venezia si aggiudicò il premio Luigi De Laurentiis per la migliore opera prima con L'intervallo, anche Alessandro Rossetto porta in Orizzonti il suo primo lungometraggio di finzione dopo anni di attività documentaristica: esperienza - insieme agli studi di antropologia - che contribuisce in maniera determinante a caratterizzare un grande esordio, essenziale e rigoroso, seppur basato su una sceneggiatura scarna (meno di 70 pagine, firmate dal regista con Caterina Serra e Maurizio Braucci) e affrontato - come ricordato dallo stesso Rossetto - con un "approccio fisico, partendo da una sceneggiatura pronta ad essere distrutta, con la volontà di creare un vortice estivo che legasse improvvisazione e osservazione, ricerca e creazione dei personaggi". Dove il reale e la finzione si mescolano, aggiungiamo noi, dove l'apertura al mondo e l'iperattività di Luisa (l'attrice e cantante Maria Roveran, anche autrice e interprete di due brani della colonna sonora del film) si scontrano con la rassegnazione e l'inerzia degli adulti (non a caso il padre della ragazza sembra immobile anche quando cammina), creando un conflitto che non è più, non solo, quello tra autoctoni e stranieri, ma tra più mondi.

Conflitto che potrebbe esplodere in ogni istante, ovunque, in qualsiasi piccola patria del pianeta. E che nel racconto di Rossetto, al quale va riconosciuta anche una superba direzione degli attori (Roberta Da Soller e Vladimir Doda i due coprotagonisti), è scandito anche da una notevole colonna sonora, a cura di Paolo Segat, Alessandro Cellai e la già citata Roveran, impreziosita da due opere tradizionali ("L'Aqua ze morta" e "Joska la rossa") recuperate e rinnovate dal compositore e maestro vicentino Bepi De Marzi, usando il dialetto veneto per i testi.