Un diavolo per capello. Mai detto fu più vero nel caso di Junior (Samuel Lange), la cui terrificante ossessione è il pelo crespo, indomabile e poco di moda che il papà gli ha lasciato in dote. Il bambino cerca in tutti i modi di aggiustarlo: phone, mayo, olio, le prova tutte lui. Non fosse altro perché il capello liscio gli aprirebbe le porte - ne è sicuro - dello showbiz. Il suo sogno è fare il cantante. Ma i desideri di Junior non sono compatibili con una città come Caracas, dove se sei nato maschio devi tirare fuori gli attributi, ambire a una divisa, e magari farti ammazzare, com'è successo a suo padre. La madre, Marta (Samantha Castillo), lo sa bene, ma teme di più lo stigma sociale. Non tollera gli atteggiamenti effeminati del figlio, le vanno di traverso tutte quelle mossette equivoche, il ballo e il canto, e il tempo che passa in bagno, allo specchio, disperate manovre da parrucchiere. Quasi quasi lo "gira" alla suocera (Nelly Ramos), disposta a pagare profumatamente la compagnia del nipote, per quanto "diverso" sia.
Il pezzo forte di Pelo malo - già vincitore del San Sebastian, in concorso a Torino e in cartellone al prossimo Tertio Millennio - è questo rapporto complicato, aspro e sfibrante tra madre e figlio, che Mariana Rondon (anche sceneggiatrice) delinea con sorprendente finezza e intensità. Attenta a tutte le sfumature psicologiche e sociali del caso, e potendo contare su una coppia di attori meravigliosamente partecipi, la regista venezuelana ha il merito di non sottolineare mai nulla (fino alla fine non sapremo mai se Jurior ha davvero certe tendenze o semplicemente cerca l'attenzione della madre), di trattare questa vicenda familiare con delicatezza e insieme con durezza dolorosa, brava soprattutto a cogliere nella privazione del tatto - Marta praticamente non tocca mai suo figlio, a differenza dell'altro figlio più piccolo - il nodo gordiano del conflitto. Qui non ci sono buoni o cattivi, perché se Junior è pura e disarmante richiesta d'amore, Marta è una donna con la divisa (faceva la sorvegliante), che ha perso il marito troppo presto e che ora deve darsi da fare perché questa vita non spazzi via anche lei e i figli.
Ma Pelo malo va oltre, e ci lascia scorgere dietro questa figura femminile dominante (rivedersi la scena in cui adesca e manovra come vuole un giovane amante occasionale) il profilo di una cultura matriarcale che si autoalimenta nella privazione del maschile: tutte le donne del film non hanno un uomo accanto, o perché inaffidabili o perché rimasti uccisi, e la cosa interessante è il nesso - abilmente suggerito dalla Rondon - con l'adorazione quasi religiosa per il capo supremo della nazione, il padre Chavez (sono i giorni del suo ricovero in ospedale: non ne uscirà più).
Di grande impatto è anche lo sguardo sulla città, o meglio il modo in cui la città aggredisce lo sguardo, con i suoi sinistri reticolati, le sbarre alla finestra, le vie congestionate, gli appartamenti fatiscenti, attaccati l'uno all'altro, da togliere il respiro. Un degrado urbanistico che opprime i personaggi non meno dei rischi e delle minacce che incombono ovunque, continuamente, le possiamo avvertire.
Spari fuori campo e bambini che li fanno diventare la colonna sonora dei loro innocenti giochi "alla guerra". Questo, signori, è vero neorealismo.