Basata sul racconto di Yasutaka Tsutsui, Paprika è un film ambizioso che affronta temi una volta ritenuti del tutto inadatti al linguaggio dei disegni animati. Parliamo di secoli fa, naturalmente, perché nella produzione degli ultimi anni le storie con  complicati risvolti esistenziali la fanno decisamente da padrone. E però, a ben vedere, nel caso di Paprika la scelta può essere vincente, perché nel film di Satoshi Kon si parla di sogni, di doppi, di mondi virtuali (c'era bisogno di dirlo?). Tutte  situazioni alle quali non può che giovare l'animazione e il colore. Film complicato, dicevamo, innanzitutto per la storia, che racconta del furto di due DC mini, due apparecchietti creati dal genio obeso Tokita che sono in grado controllare i sogni e sincronizzarli con il loro inconscio aiutandoli in questo modo a risolvere le loro ansietà e nevrosi. Operazione questa che compie benissimo anche Paprika, brillante eroina virtuale e alter ego di Atsuko Chiba, ventinovenne, dimessa dottoressa della clinica e collega del già citato Tokita. La storia esplode nel momento in cui due delle DC Mini vengono rubate. Queste, cadendo in mane sbagliate, potrebbero causare danni irreparabili non solo alle persone e ai loro inconsci, ma anche e soprattutto alle cose reali, perché il confine tra sogno e realtà si annulla del tutto provocando disastrose invasioni di campo. E qui inizia la parte più interessante del racconto che con una pirotecnica escalation ci porta all'epilogo del film. Un po' Matrix e un po' Strange Days, Paprika forse mette troppa carne al fuoco e talvolta seguirne il percorso diventa faticoso, ma di certo è un'operazione intelligente che, come spesso accade con i film di animazione giapponesi, è di certo più adatto ad un pubblico adulto