Se qualcuno nutrisse ancora dubbi sull'iniquità del regime iraniano, dovrebbe vedere Out of Tehran, il nuovo documentario di Monica Maggioni, già reporter di guerra per la RAI e autrice due anni fa di Ward 54, sui traumi dei soldati americani tornati a casa dall'Iraq. Cambia l'obiettivo, ma non il modus operandi né la forte intenzione etica che presiede alle due operazioni.
Anche qui la denuncia passa attraverso il racconto di parola più che dalle immagini, vuoi perché sulle seconde il potere censorio del regime applica da sempre una chirurgica rimozione, vuoi perché in tempi di colonialismo iconico, le immagini tendono ad anestetizzare più che a ridestare i fatti. D'altra parte non sono i fatti a interessare la Maggioni, per quelli basta e avanza la cronaca giornalistica. E, salvo alcune riprese col telefonino - rubate ai giorni terribili delle proteste di piazza contro la rielezione di Ahmadinejad, agosto 2009 - Out of Tehran si proietta letteralmente fuori dall'Iran, come i suoi quattro protagonisti in esilio.
Lasciato, non sradicato, l'Iran è un paese che ti rimane dentro. Lo amano ancora, vorrebbero tornare, i superstiti dall'inferno Abbas, Ebrahim, Hossein e Narges - ciascuno con la propria storia particolare, rifugiati in Europa, in solitario abbandono e i propri cari chissà dove - anche quando ripercorrono la via crucis delle umiliazioni e delle violenze che hanno subito per mano dei loro stessi compatrioti. Uno, pentito, viene intervistato: la sua testimonianza radiografa perfettamente la metastasi che ha colpito un potere che, dietro l'idiozia della propaganda, inneggia e insegna a distruggere l'uomo.
Uomo che - crepe, paure, abissi e speranza - la Maggioni riporta in primo piano, quasi che quei volti così vicini alle dimensioni dello schermo, così dirompenti nel segnalarci l'insopprimibile sacralità dell'essere, fossero l'ultimo gesto di ribellione contro chi cerca di cancellarne le tracce. Certo il fuoricampo rimane, incombe e minaccia. Ma per una volta, stavolta, la scena è tutta loro. Come dovrebbe essere la realtà oltre tutte le sue schifezze: una faccenda ineludibilmente umana.