La politica non c'entra. Sarebbe però insensato definirlo un innocuo giochino. Tornano le maschere, ma sono a zero ambiguità: solo una lunga veste nera, avvolta, bardata di bracciali puntuti e scarpette chiodate. Più che travestimento, dissolvimento identitario. Il Ninja Assassin propinato da James McTeigue – con i Wachowski Bros. nuovamente mecenati – appaiono cosa ben diversa dall' anarchico e ambizioso V per Vendetta. In un certo senso persino più apocalittico.
Arrischiamo il bizantinismo interpretativo. La storia è una cornice da riempire a piacere: Raizo (Rain) è uno dei più implacabili sicari ninja del clan di Ozunu, un'organizzazione che alleva piccoli samurai travestiti, trasformandoli in macchine di morte infallibili. Quando la stessa – responsabile di azioni di spionaggio e di un numero imprecisato di traffici criminali - elimina uno dei membri ribelli, Razo decide di abbandonarla con l'intenzione di distruggerla in un secondo momento. Ma i vertici di Ozunu sono come i boss di Cosa Nostra: non perdonano gli affiliati pentiti.
Il plot si affida così a uno scontato gioco al gatto e al topo, su cui s'innesta ovviamente il solito sottotesto romantico: perché le imprese di Ozunu attirano la curiosità di Mika Coretti (Naomie Harris), un'affascinante agente dell'Europol; perché Mika sarà (at)tratta in salvo da Razo più e più volte; perché McTeigue – come aveva fatto precedentemente, e meglio, in V per Vendetta – si diverte a sollecitare liason improbabili (qui anche meticcie: lui è asiatico, lei di colore) senza mai ridurle in love story impossibili, ma in episodi di formazione. E poi l'amore poco senso avrebbe in un congegno così facile, aculeato e letale, che esaspera (divertendo!) la violenza dell'action portandone alla luce le spinte sadiche: sangue, arti mozzati, torture indicibili e indigeste mattanze, da rovinare lo stomaco.
Questo è cinema a cui non serve più una scusa per fare a pezzi i corpi. Lo spettacolo è il martirio. Il dubbio amletico: ambigua provocazione o immorale furbizia?