“Vorrei augurare la buona notte a tutti quelli che vivono in questo Paese ma che non si sentono in affitto, perché questo paese è di chi lo abita e non di chi lo governa”. Così Luciano Ligabue chiude i suoi concerti; così Piergiorgio Gay ne ha tratto spunto per un film, Niente paura. Prodotto dalla Lumière di Lionello Cerri e dalla Bim, che lo porta sala dopo l'anteprima fuori concorso alla Mostra di Venezia, un documentario che interroga la meglio Italia - da don Ciotti a Stefano Rodotà, da Giovanni Soldini a Carlo Verdone - e la “doppia” con il Liga, per trovare - dice il regista - “canzoni e memoria, memoria personale e memoria collettiva”.
Non un lavoro storico, ma di gruppo, che si affida al racconto delle persone intervistate: dalla ragazza albanese che con 20mila connazionali sbarcò a Bari nel '91 sulla nave Vlora allo stesso  Ligabue, che avrebbe potuto trovarsi alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, da Beppino Englaro al Paolo Rossi che invoca la costituzione di “campi di concentramento culturali”, fino alla perseveranza di Sabina, la figlia di Guido Rossa, e il testamento biologico di Umberto Veronesi. 
Non manca genuina commozione - come non graffiarsi dentro a riascoltare Rosaria Schifani, vedova dell'agente di scorta saltato in aria con Falcone? - e non latita la sincera quanto ingenua convinzione che le “canzonette” possano raccontare gli ultimi 30 anni di storia patria con il coro della società civile, ma a ben vedere Niente paura funziona solo quando fa memoria al grado zero, ovvero con le immagini di archivio. Per il resto, troppo debole e controvertibile l'assunto di fondo, tanto ingombrante quanto poco carismatica la figura del rocker di Correggio, perché non nasca un'altra paura: maquillage civile a una promozione artistica? Siamo troppo cattivi, ma oggettivamente il "concerto" di Gay funziona meglio del suo solista, che se addirittura non ci fosse...