Vincitore della Palma d'Oro nel 2018 per Shoplifters e del Premio della Giuria nel 2013 per – il suo capolavoro - Like Father, Like Son, Hirokazu Kore-eda torna in Concorso a Cannes 76 per la settima volta con Kaibutsu (Monster), thriller sul rapporto tra madre, figlio e l’insegnante di questi. Diciamolo subito, siamo dinnanzi al Kore-eda migliore, capace di disattendere l’ovvio e il predeterminato – e il pregiudicato – aprendo insieme alle possibilità dell’umano e del cinema, ovvero chiamando in casa la divergenza, l’alterità dei punti di vista di Rashomon (1950).

Minato (Soya Kurokawa), orfano di padre, mostra comportamenti sempre più preoccupanti sia a scuola che a casa, sicché la madre, Saori (Sakura Ando), decide di parlarne con il personale docente: diventa presto evidente come il suo insegnante, Hori (Eita Nagayama), sia la causa di questi problemi, ma ne siamo davvero certi?

Non si può svelare altro del sedicesimo lungometraggio del regista nipponico, basti dire che la mostruosità del titolo si collega a un cervello di maiale trapiantato nella testa del bambino, e chissà che il solo dichiararlo non abbia conseguenze nefaste e, addirittura, veridittive. Quanto è facile compromettere un rapporto, quanto è semplice incrinare una vita, e ancor più determinare il capro espiatorio, il colpevole di turno?

Alla sceneggiatura Yuji Sakamoto (We Made a Beautiful Bouquet), fotografia di Ryoto Kondo (Shoplifters), alle musiche il compianto Ryuchi Sakamoto, Monster è girato in Giappone, dopo la Corea del Sud di Broker (Cannes 2022), e rinnova la cifra umanista di Kore-eda, che reduce dalla serie Makanai torna a inquadrare l’infanzia, la preadolescenza con camera aperta e cuore puro, passando in rassegna bullismo e autolesionismo, nonché tante problematiche adulte, senza condannarsi alla stigmatizzazione, al ditino alzato.

C’è felicità di regia, senza fronzoli, istruita dalla dualità prospettica, e c’è facilità di sentire, perché il triangolo tra madre, figlio e maestro si scioglie nella libertà, ovvero nella possibilità di un altro racconto se non un’altra storia: è un cinema che disattende le apparenze, che chiede un surplus di indagine, antropologica e filosofica, che si ascrive senza presunzione una valenza metacinematografica. Che cosa vediamo o, meglio, che cosa riteniamo di aver visto?

Kore-eda sulla Croisette è stato pluripremiato, anche dalla Giuria ecumenica (Like Father, Like Son, Brother), con Monster rischia seriamente di ripetersi, ed è un rischio umanissimo: tra incendi e accendini, scarpe spaiate e gattini morti, balzi dall’auto in corsa e alluvioni, splende il sole, si sciolgono i mostri.