Passato sugli schermi di Cannes tra sbadigli e russate dei più grandi critici nostrani e non solo, Mogari no mori di Naomi Kawase è stato uno dei titoli più affascinanti del concorso. La trentenne Machiko lavora in un ospizio dove vive l'anziano e un po' ritardato Shigeki. L'atmosfera all'interno della casa di cura è serena, ma Machiko nasconde un dolore inestricabile per la perdita del figlio. Dopo aver festeggiato il compleanno di Shigeki, Machiko decide di portare l'anziano in gita all'aperto. Finiti blandamente fuori strada con l'auto, i due si incamminano in mezzo a campi e fitta boscaglia non si sa se per cercare veramente aiuto. Pochi passi e si perderanno magicamente nella foresta di Mogari. Bilanciato sul prosciugamento dei dialoghi e cullato nella funzione protettiva ed amniotica che assume il contesto ambientale della foresta, Mogari no mori è film di intensa ricerca spirituale, di ipotesi di equilibrio interiore attraverso l'immersione casuale e profonda nella natura. Shigeki e Machiko ritrovano in questo viaggio elementi arcaici e ancestrali su cui rifondare il proprio vivere sommerso dall'incombente dolore per la perdita e imbevuto di materialismo asfissiante. La Kawase cesella l'immagine senza forzare nei controcampi, ammorbidisce la visione dimostrando una libertà di messa in scena e in qualche modo di improvvisazione attoriale, che abbatte barriere fisiche, sentimentali e morali. Il rapporto concreto, avvolgente, simbiotico con gli elementi naturali (come alberi, piante, torrenti, fuoco e terra) diventa contemporaneamente il leit-motiv conoscitivo del proprio sé di personaggio e spettatore. Emblematica l'epitome che sottolinea la fuga definitiva dal mondo conosciuto quando il rombo del motore di un elicottero, che sta cercando i due "dispersi", sembra quasi incutere un senso di minaccia. E la Kawase mostra l'automatico riparo dei due protagonisti tra i rami fitti di altissimi alberi e il nascondiglio dell'osservazione spettatoriale da cui non si riesce a scorgere la sagoma del velivolo, ma se ne intuisce la minacciosità soltanto dal rumore. Più che meritato il Gran Premio della Giuria del Festival 2007.