PHOTO
Memory of Princess Mumbi
Negritudine, Intelligenza Artificiale, memoria e elaborazione del lutto, distopia e umanesimo. È Memory of Princess Mumbi del giovane (2001) regista svizzero-keniota Damien Hauser, in Concorso alle 22esime Giornate degli Autori: naif, brioso, sensibile, a tratti sensitivo, ha freschezza, inventiva e scanzonato coraggio. Una miscela di sci-fi, mockumentary e animazione in un’Africa immaginata e immaginaria davvero niente male.
Sostiene Hauser, “il film sceglie di non concentrarsi sulla distruzione, ma sulla bellezza come atto di resistenza. Invece di rafforzare immagini di conflitto, mette in luce la tenerezza, lo stare insieme e le relazioni intime. Racconta come ciò che scegliamo di osservare e ricordare influenzi la nostra visione del mondo”, ed è una visione che evoca le città invisibili di Calvino e Re della terra selvaggia, invoca tenerezza e pietas, associa cuore e crew, guerra e pace, sulla scorta dei ricordi: “Da giovane portavo sempre con me una videocamera, riprendendo amici, famigliari e la vita quotidiana. Dopo la scomparsa di mio fratello minore, riguardando quei filmati, ho scoperto che, accanto al dolore, erano presenti anche momenti quieti di bellezza da custodire”.
Sicché saltiamo al 2093 dopo una guerra globale che ha azzerato l’ultima tecnologia e restaurato gli antichi regni, catalizzando un paesaggio antropico e architettonico futuribile e baraccato, residuale e vitalistico, postapocalittico ma speranzoso, e aperto al cinema: l’aspirante filmaker Kuve (Ibrahim Joseph) raggiunge il villaggio di Umata con Damien (Hauser) per un documentario sulle conseguenze del disastroso conflitto, a cui si associa Mumbi (Shandra Apondi, splendida) che lo sfida a realizzare un film solo con le mani, gli occhi e il cuore, ovvero senza l’ausilio dell’AI.
Fondali in cartapesta CGI, green screen rivelati, backstage che si fa scena, e viceversa, per un ready-made di gusto e sostanza, che gode della chimica tra gli attori, dell’alchimia tra gli interpreti e della voce piccola, ma stentorea che nella disforia qui e ora – a questo serve la distopia – richiama all’estrema bellezza.
Un ipertesto sconnesso e disconnesso, un Jules et Jim – non c’entra Damien, ma il Principe che avrà Mumbi – nero e luminoso, perfino numinoso, con la fragranza del riso, la persistenza del ricordo, il sapore della lacrima.