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Memory
Opera prima di Vladlena Sandu, ucraina trapiantata in Cecenia, il film d’apertura delle Giornate degli Autori 2025 Memory è un atto di accusa contro la guerra, particolare e universale, ad altezza di bambina: sono i ricordi dell’infanzia a deflagrare sullo schermo, con dettagli emotivi, lacerti di destino e singulti di ineluttabile da mozzare il fiato. Classe 1982, agit-prop culturale e vieppiù artistica in parole, opere (traffico sessuale, tra i temi ricorrenti) e cortometraggi, riparata ad Amsterdam nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Vladlena – crasi di Vladimir e Lenina… - si “riprende” all’età di sei anni a Grozny, reduce dal divorzio dei genitori e trapiantata a Grozny, laddove tutto cambia: l’URSS crolla, la Repubblica Cecena implode, ali amici di lingua russa scappano, i deportati rientrano, la violenza si prende la città, finché dopo quattro anni di guerra la madre vien gravemente ferita e Vladlena è sfollata in Russia.
Il memoir sofferto e sofferente si stampiglia sullo schermo per trasfigurazione, cercando di rispondere alle domande che Sandu (non) s’è scelta: “Come affrontiamo la violenza ereditata? È possibile trasformare l’aggressività in cura e la paura in amore?”.
I giochi della bambina per decrittare il vulnus, i pupazzetti à la Rithy Panh: L’immagine mancante, che è poi quel che Memory vuol essere, una RAM liturgica. Non tutto in questa estroversione formale, in questa corografia del dolore, in questa drammaturgia del rinvenire, sovvenire e rimorire è perfettamente ancorato alla motivazione precipua del lavoro, ma sono appunto vizi di forma che non inficiano la potenza icastica, la natura (soprav)vivente di un film determinato ed esibito, tosto e fragile, documentario e vissuto, poetico e ossessivo, liminare e subliminale, che per l’associazione libera di materiale d’archivio e nell’autobiografia dolente se ne va altrove e ancor più dentro, per elaborare il lutto, sanare il presente e vieppiù affrancare il futuro. Homo homini lupus, o forse gorilla, e “lavorare a Memory mi ha aiutato a capire come il meccanismo della violenza si muova attraverso le generazioni e mi ha portato a pormi una domanda fondamentale: cosa possiamo fare per fermarlo?”.
Affidarsi alle immagini in movimento, punti di sutura del possibile e dell’auspicabile, laddove la performance, il teatrale, l’artefatto, la situazione se non il situazionismo corroborano l’avvenire della Memoria, ovvero il presente idiosincratico epperò inclusivo di Memory.