Fine anni '20. Stanley (Colin Firth), nome d'arte Wei Ling Soo, è il mago, il prestidigitatore, l'illusionista più celebre al mondo, e non c'è da stupirsi: solo lui può far scomparire un elefante dal palcoscenico. Eppure, Stanley è un razionalista duro e puro, uno scienziato, poco incline a farsi illudere, a credere in una realtà altra rispetto a quella sensibile e logicamente comprensibile: Stanley è convinto che ogni fenomeno abbia una spiegazione qui e ora, e pazienza se l'infelicità personale ne è logica conseguenza. Ma la situazione sta per evolvere repentinamente: viene chiamato in Costa Azzurra da un amico, mago pure lui, perché smascheri una bella ragazza americana, Sophie (Emma Stone), che si accredita facoltà sovrannaturali, tra cui il parlare con l'aldilà. Ma è davvero la truffatrice che si direbbe? Sul caso indaga Stanley, ma è una missione ad alto rischio, in primis cardiaco…

E' tornato Woody Allen, ed è in un discreto stato di forma: Magic in the Moonlight è fresco, romantico, delizioso. Innanzitutto, le battute vanno a  segno con una certa facilità, per esempio questo scambio tra Stanley e Sophie è da ricordare: “Non ti posso perdonare, solo Dio può” – “Ma hai appena detto che Dio non esiste” – “Appunto”. I costumi, firmati da Sonia Grande, sono stupendi: complice la naturale eleganza, Firth è il gentiluomo (misantropo, ma quello è un altro discorso) per antonomasia, e le mise della Stone non sono da meno.

Dopo la performance da Oscar in Birdman, un'altra prova di bravura per l'attrice americana, vezzosa come lo scenario richiede. Insomma, quasi tutto bene, a parte il palese imbarazzo di Firth nelle scene più affettuose: l'attore inglese ha 54 anni, la Stone 26, forse i 28 anni di differenza pesano, e non ci riferiamo solo alla “credibilità” poetica. Eppure, Woody Allen non se ne cura, e non ci sorprende: tra lui e la moglie Soon Yi corrono 34 primavere. Ma son dettagli, c'è davvero qualcosa di magico sotto la,luna: si chiama amore, effetto vintage.