Veronica e Salvatore. Due ragazzini intrappolati in un gioco da grandi. Un gioco di camorra: la reclusione. In uno stabile fatiscente, multiforme, sterminato, uno spazio per un intervallo forzato o forse, chissà, liberatorio. Veronica, scopriremo, ha un amichetto che non deve avere per logiche di clan, Salvatore è chiamato a sorvegliarla, ma è un recluso pure lui. Lei è troppo cresciuta e freme per la libertà, lui fa mostra di pacatezza, comando e controllo. Così non è. Sono uguali più che contrari, e in quell'hortus conclusus che di poetico non ha nulla sapranno trovare un locus amoenus, che di salvifico può avere qualcosa. Non mancano parentesi da Laguna blu, fughe da fermo e aneliti adolescenziali, soprattutto pensieri in libera uscita, destinazione Isola dei famosi e non solo, bloccati, controvertiti dal qui e ora di esecuzioni sommarie, tre colpi alla nuca. E se questa fosse la fine di Veronica?
E' L'intervallo, primo film di finzione dell'ischitano Leonardo Di Costanzo, il valente documentarista di A scuola e Prove di stato.
Scritto con Mariangela Barbanente e Maurizio Braucci, prodotto da Tempesta (Corpo celeste di Alice Rohrwacher), gareggia al Lido nella sezione Orizzonti. Braucci, tra le altre cose, è il co-sceneggiatore di Gomorra, e L'intervallo potrebbe legittimamente esserne uno degli episodi per mood, location e anche per stile: camera a mano, illuminazione artificiale al lumicino, tensione di cinema-verità, con l'immaginazione adolescenziale a scavalcare il muro dell'omertà, la sottomissione e la realtà coatta di tante nostrane periferie poco romanzesche e molto criminali.
Un piccolo film, indipendente secondo gli stilemi italiani, affidato alla bravura dei due giovani protagonisti Francesca Riso e Alessio Gallo - scovati con un laboratorio di coaching a Napoli - e issato su una storia tragicamente ordinaria, un'attesa di scioglimento senza climax, strappata ai trafiletti di cronaca locale. Non c'è spettacolo, e come altrimenti, ma forse potrebbe esserci più emozione. Aiuterebbe a fare di questo Intervallo una pausa allettante per un pubblico più vasto, ma abbiamo un dubbio: e se fosse la realtà a non concedere altrimenti? Del resto, Gomorra non conosce intervalli. Ma qui anziché il come c'è il perché, l'atmosfera ideologica, la temperatura umana del sistema camorristico, affidato ai pensieri in libera uscita di due giovani carcerati. Romeo e Giulietta, forse.