PHOTO
Les Immortelles (Stereo Girls)
C’è una luce che ritorna, persistente e avvolgente, capace di restituire la sensazione di un tempo sospeso: quella della Francia anni ’90, che Caroline Deruas Peano evoca con sensibilità pittorica e rigore estetico. Les Immortelles – presentato alla SIC con il titolo internazionale Stereo Girls – si offre innanzitutto come un’esperienza visiva, un film che non si limita a raccontare ma che costruisce un mondo, riportando in vita le atmosfere di un’epoca fatta di colori saturi, notti al neon e desideri che brillano più forti della realtà.
Al centro, Charlotte e Liza: due diciassettenni inseparabili, due caratteri opposti che si completano, unite dalla stessa febbre vitale e dallo stesso sogno di fuga. Vogliono Parigi, vogliono la musica, vogliono quella libertà che sembra pulsare in ogni battito del cuore adolescenziale. La loro è un’amicizia totalizzante, assoluta, di quelle che assomigliano a un patto silenzioso, a una promessa che sembra destinata a non incrinarsi mai. Nelle interpretazioni di Léna Garrel e Louiza Aura c’è tutta la forza e la vulnerabilità di quell’età: un’intensità che non conosce compromessi e che accende lo schermo di energia.


Les Immortelles (Stereo Girls)
Il film vive di questa vitalità contagiosa, mai affettata. Deruas Peano – qui anche sceneggiatrice – sa dare corpo alla freschezza dell’adolescenza con uno sguardo che non indulge nel sentimentalismo ma che si lascia attraversare dal ritmo della vita. La musica composta da Calypso Valois accompagna e amplifica questo slancio, diventando il vero respiro narrativo del film. La fotografia di Vincent Biron, luminosa e sensuale, cattura i corpi e gli spazi con la precisione di chi non cerca la ricostruzione filologica, ma un’evocazione, un’eco che sappia parlare anche al presente.
Eppure, come in ogni racconto di formazione, arriva il momento della frattura. La tragedia che irrompe nelle vite di Charlotte e Liza non è un mero espediente narrativo, ma il vero cuore del film: spartiacque netto, linea che divide l’adolescenza dall’età adulta. L’infanzia finisce all’improvviso, il sogno di Parigi si arresta, e a Charlotte non resta che fare i conti con l’assenza, portando sulle proprie spalle un destino che era stato immaginato in due. È in questa cesura che Les Immortelles trova la sua forza più universale: raccontare come si diventa adulti non per scelta ma per necessità, non per volontà ma perché la vita lo impone.
La regia alterna registri diversi – dal musical al realismo, dall’onirico al dramma – senza mai scivolare nella ridondanza. Se a tratti la stratificazione rischia di disperdere l’unità narrativa, è proprio in questa continua ricerca di forme che il film rivela la sua freschezza e il suo coraggio. È l’incertezza stessa a restituire l’irrequietezza di un’età che non sa fermarsi, che procede per tentativi, che mescola sogno e realtà senza riconoscerne ancora i confini.


Les Immortelles (Stereo Girls)
Ne risulta un’opera seconda sincera e vitale, segnata da una grazia luminosa e da una tensione costante verso il movimento. Les Immortelles è un film che vibra: di energia, di fragilità, di slancio. Sa rendere palpabile la bellezza dell’adolescenza, ma anche la sua precarietà, il suo precipitare improvviso nell’età adulta. Deruas Peano non costruisce un monumento alla nostalgia, ma un film vivo, che respira con le sue protagoniste e condivide con loro la corsa verso un orizzonte che si allontana.
Per questo la sua presenza come apertura della Settimana Internazionale della Critica appare particolarmente significativa: Les Immortelles non è solo un racconto di amicizia e di perdita, ma anche un ritratto energico di una generazione che cerca la propria voce. È cinema che guarda indietro senza rimanere intrappolato nella nostalgia, e che restituisce al presente la forza di una memoria ancora pulsante. Un film che, pur nella sua delicatezza, ha il coraggio di credere che l’adolescenza sia davvero un tempo immortale.