Non è la prima volta che Cédric Kahn per il suo cinema trae ispirazione da reali fatti di cronaca e personaggi controversi, si pensi al notevolissimo Roberto Succo (2000) o al più recente Vie sauvage (2014).

Questa volta con Le procès Goldman (The Goldman Case) si concentra sul celeberrimo caso giudiziario che vide protagonista Pierre Goldman, intellettuale rivoluzionario autore di numerose rapine, accusato di aver ucciso due farmaciste in seguito ad una di queste, nel 1969, e condannato all'ergastolo nel 1974.

Professatosi da subito innocente, due anni più tardi, nel giudizio di appello, Goldman venne condannato a 12 anni per le rapine ma assolto dal duplice omicidio. Uscito per buona condotta, nel 1979 venne ucciso in circostanze ancora misteriose, probabilmente - si dice - per mano di uno squadrone della morte del GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación).

Court-drama serratissimo e impreziosito dalla prova di tutti i suoi interpreti (Arieh Worthalter è l'inarrestabile Goldman, Arthur Harari il suo avvocato difensore Georges Kiejman, Stéphane Guérin-Tillié il giudice), il lavoro di Cédric Kahn - regista che difficilmente sbaglia un film - riesce attraverso la parola, lo scontro dialettico, le varie testimonianze che si alternano nel processo a raccontare il clima di un periodo storico e le tensioni che animavano alcuni dei suoi protagonisti molto meglio di altri period-drama incentrati su quei giorni.

Senza uscire mai da quell'aula, così, abbiamo modo di avvicinarci alla tremenda complessità dell'uomo Goldman - ebreo di origini polacche nato da genitori che combatterono la resistenza - rivoluzionario che sposò anche la causa dei guerriglieri venezuelani all'indomani della morte di Che Guevara.

"Sono innocente perché sono innocente": deciso a licenziare il suo avvocato qualche giorno prima dell'appello ("ebreo da salotto" lo definisce in una lettera che spedisce all'assistente di questi), Goldman contesta l'iter processuale canonico, basato principalmente su testimonianze che, a suo dire, non possono in alcun modo confermare né sconfessare la sua innocenza. E il film di Kahn, che non ha bisogno di nessun orpello per arrivare dritto al cuore della questione, restituisce in modo deciso, anche violento se vogliamo, le contraddizioni di una società che in quel dibattimento vengono in superficie con forza.

Dal razzismo strisciante ai metodi di indagine non propriamente ortodossi, dagli scontri ideologici ai profili psicologici dell'imputato, Le procès Goldman è grande cinema di scrittura (la sceneggiatura è firmata dallo stesso regista insieme a Nathalie Hertzberg) e di "ricostruzione" di un'epoca, ingabbiata in un'aula di tribunale e contenuta dentro l'aspect ratio 4:3, capace però di riecheggiare al di qua dello schermo con un'energia e una verità non discutibili.

Film d'apertura della 55° Quinzaine des Cinéastes del 76° Festival di Cannes.