Agenti segreti e amanti, ugualmente improbabili, Muriel (Marina Fois) e Philippe (Lorant Deutsch) sulle tracce della chiave USB nascosta da Constance (Jeanne Balibar), l'improbabile vedova di un trafficante di uranio, finiscono a un corso di canto lirico, che in breve tempo si trasformerà in covo di spie, tra cui il gigolò bisessuale Julien (Julien Baumgartner). Questa la scarna sinossi di Le plaisir de chanter, opera terza del francese Ilan Duran Cohen - già vincitore degli Orizzonti veneziani con Les petit fils nel 2004 - in concorso al Festival di Roma.
Commistione di generi, dal melò alla spy-story, e divertissement lirico-sessuale, Le plaisir de chanter è anche piacere visivo, gusto dell'assurdo e del grottesco, che - crediamo - Ionesco non avrebbe disprezzato. Non si arriva ovviamente a quelle vette artistiche, ma rimane la tensione pregevole  - e utopica - tra commedia e thriller, frammenti di un discorso amoroso e cornice spionistica, in cui a farla da padrone sono i corpi, ovvero la corporeità e la sua ineludibile caducità, con i personaggi impegnati soprattutto a controllarsi le rughe allo specchio. Nella migliore (?) tradizione francese, il film a tratti è irritante, compiaciuto di farsi nonsense, ma nel diffuso piattume televisivo che ammorba il Concorso, anche questo vuol dire qualcosa. Qualcosa, solo qualcosa, perché volontariamente indefinito, e indefinibile, ma le scene di sesso (omo ed etero), i vocalizzi, la disinvoltura poetica e le paranoie sulla giovinezza che se ne va fanno piacere. Menzione speciale a Jeanne Balibar, stordita ad hoc e di Nutella vestita: anche Moretti gradirebbe...