Licu è un 27enne bengalese, musulmano, emigrato a Roma. Ottenuta la cittadinanza italiana, lavora dodici ore al giorno: magazziniere in un laboratorio tessile la mattina, cassiere in un negozio di alimentari la sera. Capelli impomatati, abbigliamento alla moda, Licu pare essersi integrato in modo soddisfacente. Un giorno riceve dalla madre la foto di una ragazza: Fancy, 18 anni, sarà sua sposa per volontà familiare. Strappate quattro settimane di ferie non pagate, vola in Bangladesh per approntare il matrimonio. Ma al suo arrivo, i negoziati tra le famiglie dei promessi sposi si complicano… Opera seconda di Vittorio Moroni, che imbocca la strada del documentario dopo il convincente esordio fiction di Tu devi essere il lupo. In concorso a Toronto e ad Alba, Le ferie di Licu è costruito da uno sguardo antropologico, che tallona il giovane cingalese nella vita quotidiana a Roma, in Bangladesh per le "ferie nuziali" e di ritorno nella capitale con la novella sposa. Il risultato di questa investigazione sociologica sconfessa l'apparente integrazione del simpatico musulmano nel tessuto civile occidentale: cartina tornasole  di questa mancata inclusione diviene la moglie, costretta in casa, vezzeggiata con regali, ma sottoposta al controllo totale di Licu. Ed è quasi un colpo a tradimento, portato dopo una costruzione simpatetica, che apre all'immedesimazione. Pessimismo della ragione. Forse.