Linda, otto anni, si trasferisce dal Canton Ticino a Ferrara a seguito della mamma Eva, ragazza madre inaffidabile, tossicodipendente e profondamente egoista, in grado di relazionarsi alla figlia più come sorella maggiore che come madre. La bambina fa amicizia con Azzurra e sua sorella Marta, anche loro figlie di una madre assente, incapace di prendersi davvero cura delle figlie perché risucchiata dal lavoro di infermiera e, soprattutto, dall’hobby di creare bambole.

Le bambine, primo lungometraggio firmato a quattro mani dalle sorelle Valentina e Nicole Bertani, racconta il dolore di vivere la propria infanzia all’interno di famiglie disfunzionali e prive di amore, delineando un mondo presentato come inevitabilmente insicuro e angoscioso perché popolato da adulti narcisisti, viziati e irresponsabili, oltre che gestito da genitori incapaci di prendersi cura dei propri figli e in grado unicamente di comportarsi come bambini, motivo per cui il titolo, in realtà, sembra riferirsi alle due madri.

Il film delle sorelle Bertani sfoggia una regia molto bella e accattivante, una superficie glitterata ed estetizzante che, tuttavia, non convince pienamente perché incapace di relazionarsi al contenuto narrato. Questa patina sfoggia un look che richiama gli anni Novanta in molti modi: in particolare tramite il colore e, secondariamente, per la sospensione della narrazione tramite cui le registe inseriscono delle pause estetiche stranianti, ricordando in vario modo il decennio a cui fanno riferimento, come, ad esempio, il momento in cui i personaggi creano improvvisamente un tableau vivant, con tanto di titolo in sovraimpressione, allo scopo di simulare la composizione di una locandina filmica del periodo.

Le sorelle Bertani©cineworx
Le sorelle Bertani©cineworx

Le sorelle Bertani©cineworx

La forma si pone quindi come mera decorazione: pur interessante e piacevole alla vista, manca spesso di un vero collegamento con la trama del lungometraggio. È così che molte scelte formali vivono di vita propria, indipendentemente da una giustificazione determinata dall’economia contenutistica del film. L’interessante formato 4:3 rovesciato ne è un esempio, insieme a soluzioni stilistiche di grande impatto ma acefale, perché prive di una motivazione che non sia quella puramente estetica, come gli anelli di fumo prodotti dal padre delle sorelle su cui la regia si sofferma creando una sequenza in ralenti della durata di diversi secondi; o come la magnifica scena dedicata al gioco delle bambine con le pozzanghere, in cui le registe scelgono di inserire un’impossibile prospettiva dall’asfalto in cui si è raccolta l’acqua piovana, mostrandoci le suole delle scarpe delle ragazzine che saltano e schizzano.

Anche la delineazione dei personaggi a livello della sceneggiatura, insieme alla recitazione spesso sopra le righe degli attori, sono fattori che concorrono alla resa imperfetta del risultato finale, dato che producono un effetto farsesco ed esagerato. Ne è un esempio il padre delle due sorelle: duro, di pochissime parole e sempre con la sigaretta in bocca o fra le dita, finisce col sembrare più un pistolero di un western alla Clint Eastwood che un abitante della provincia italiana degli anni Novanta.

Le sorelle Bertani dimostrano quindi una notevole capacità a livello estetico e registico, essendo capaci di produrre vere e proprie epifanie di bellezza formale. Tuttavia, questa indubbia bravura non convince del tutto a causa della discrasia fra forma e contenuto, finendo col creare degli estetismi solipsistici, perché fini unicamente a loro stessi.