Tre sparatorie in 156 minuti. Lo scontroso Brad Pitt che al Festival di Venezia ha definito Jesse "gangster più che cowboy". Un'introspezione psicologica peculiare agli angusti luoghi di un Kammerspiel che alle sconfinate praterie stelle & strisce. Eppure, The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford viene presentato quale western. Diretto da Andrew Dominik e girato tra Calgary, Edmonton e Winnipeg, il film ha avuto una lavorazione - eufemisticamente - tormentata e l'uscita negli Usa è arrivata quasi due anni dopo la fine delle riprese. Un ritardo imposto dalla Warner Bros., che ha osteggiato lo stile à la Terrence Malick scelto dal regista neozelandese a scapito delle atmosfere eastwoodiane caldeggiate dallo studio. Con lo schivo Pitt (interpretazione lucida, non solo per gli occhi), sulla sua testa fuorilegge una taglia considerevole, nel cast - ottimo - sono anche il codardo straordinario Casey Affleck, Sam Shepard e il tarato - per ruolo e interpretazione - Sam Rockwell. Se si aggiunge una fotografia - una volta tanto non è luogo critico comune - da mozzare il fiato (della visione), lo score firmato da Nick Cave e una scansione drammaturgica (e psichica) da manuale, c'è di che essere soddisfatti, eccome. Fosse durato 30' in meno, sarebbe stato ancora meglio, ma non lamentiamoci. L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, dal romanzo omonimo di Ron Hansen, utilizza la cornice western, ma solo per fornire un ritratto vivido, profondo e disperato dell'uomo e dell'amicizia, tra ossessione, paranoia, persecuzione e negazione. Paradigmatico e irrimediabilmente umano.