33 anni, da dieci a Berlino, giornalista di viaggi: Andrés torna in Cile per una vacanza e, durante una festa di compleanno, riscopre il piccolo mondo antico che si è lasciato alle spalle. Soprattutto, Beatriz, la sua ex fiamma che ex non è. 
Dopo i pluripremiati Sabado, En la Cama e Lo Bueno de llorar, il giovane regista cileno Matías Bize dà seguito alla cifra poetico-stilistica del suo cinema conLa vida de los peces: intimismo, primi piani a braccare gli attori, tempo che fugge ma che non se ne va, messa in scena povera, esaltazione parca del digitale e completo affidamento sugli attori.
Ancora una volta, il risultato è in delicato equilibrio tra le ragioni spirituali della carne - attrazione e passato - e quelle pragmatiche della "maturità" - maternità e presente - , senza rinunciare alle confidenze più dolorose e allla sensazione di un cinema dolorosamente inutile: almeno, a bloccare l'attimo fuggente. L'amore non viene meno, ma non basta: si può aumentare il volume della musica o inumidire gli occhi, ma la vita che fu non è quella che rimane. Al netto di incongruenze e paludi di sceneggiatura, un'ottima prova di attori, una regia che cerca l'effetto flou senza (in)estetismi, un buon esempio di cinema low budget: minimal, non povero.