La Venere è con la pelliccia, il film con le bollicine e Polanski (80 anni a settembre) ancora frizzante.L'ideale per chiudere in bellezza un'ottima annata come quella di Cannes 66. Delizioso ping pong teatrale tra due attori formidabili (Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric), esercizio di stile magistrale, divertita e divertente rielaborazione in chiave cinematografica delle ossessioni di Leopold Sacher-Masoch, uno dei pochi nella storia ad essere diventato un sostantivo: sadomasochismo.Polanski imbriglia e imbroglia la pièce di David Ives, non la stravolge però la fa sua. D'altra parte non è la stessa ambivalenza (pardon, ambiguità) in cui si dibatteThomas, il protagonista, l'autore uno e trino, lo scrittore dell'adattamento, il regista e l'attore? E non è così che lo chiama – “autore” – la proria adorabile manipolatrice?Tolte due splendide carrellate sinuose all'inizio e alla fine del film, La Vènus à la fourrure è interamente on stage, chiuso tra le quinte di un anonimo teatro parigino, ma è soprattutto inside. Dentro non ci sono solo Thomas (Mathieu Amalric), l'autore imbestialito dopo un'infruttuosa giornata di casting (non è ancora riuscito a trovare la protagonista della sua pièce) e Vanda che, nome a parte (lo stesso della protagonista della Venere con la pelliccia), sembrerebbe non avere i requisiti giusti per la parte salvo interpretarla divinamente, ma c'è tutto il cinema e le ossessioni di Roman Polanski. L'intreccio di sadismo e desiderio tra regista e attore, il conflitto non risolto uomo-donna, il ribaltamaneto dei ruoli (chi pensava di manipolare si ritroverà manipolato), la crudele vanità dell'arte, la psicanalisi, senza dimenticare la metaforicità dello spazio teatrale, locus amoenus e simbolico su cui aleggia lo spettro di altre reclusioni.Il tutto messo in scena con impeccabile gusto, senso del ritmo, innaturale leggerezza. Con la complicità di due interpreti sublimi e la regia di un maestro che non ha altro da aggiungere, se non dirlo meglio.Come sempre al palo resta il maschio, la donna è mobile. Ma a vincere è il film.