PHOTO
La petite dernière
È superfluo dire, anzi, ribadire quanto sia brava Hafsia Herzi. Ci rubò gli occhi esordendo in Cous cous di Abdel Kechiche nel 2007, e non s’è fatta dimenticare, sia davanti – per Le ravissement ha vinto l’ultimo César - che dietro - Tu mérites un amour (2019) – la macchina da presa.
Con La petite dernière trova il Concorso di Cannes, adattando il libro omonimo di Fatima Daas, ovvero declinando il romanzo di formazione di Fatima (Nadia Melliti, scoperta durante un casting aperto al Pride), una diciassettenne matricola universitaria che tra periferia e Parigi, Islam e omosessualità rinegozia il suo rapporto con il mondo, dalle convinzioni ai familiari, e perfeziona la propria identità.
Dolore e sfide, rifiuto e adesione, condizionamenti e libero arbitrio, Herzi che dirige senza dirigersi sta attaccata alla sua eroina sospendendo il giudizio e espandendo l’empatia: Fatima è il film, che non si riduce bensì amplifica a one woman show, senza spettacolarizzazione ma con agio d’azione e introspezione.
La facilità con i compagni maschi, la rabbia e le mani per essere “bollata” lesbica, l’apprendistato solo verbale con una donna più grande, la complicità e le prime esperienze, la sorellanza e, ovvio, l’innamoramento, con le lacrime del caso: dietro e dentro, e sempre, il rapporto con i familiari, la madre che forse ne sa di più, le due sorelle un poco antagoniste, il padre più che altro nominale.
La piccola Fatima che gioca a pallone e compete con il mondo non desiste, si fa strada col cuore, senza rinunciare alla fede – lo scambio con l’imam è notevole – ma ancor prima a sé stessa: è la sua un’assertività composta, un’autodeterminazione compita, potremmo chiosare, orgoglio e giudizio.
Herzi vi è appunto fedele, dribbla le tagliole del coming-of-age ideologico, non indulge nella conflittualità fine a sé stessa, e concede a Fatima immediatezza, freschezza e sincerità.
L’esordiente Daas ha i suoi meriti innegabili, e poco si può recriminare a La petite dernière, che è come appare: schietto, compatto, partecipato. Nulla più – non c’è un guizzo, invero nemmeno uno scioglimento, per tacere di un colpo d’ala stilistico – e nulla meno.
Basta per il Concorso, per la Palma? La domanda rischia di essere retorica, e financo perniciosa: l’avesse diretto un uomo, l’avesse diretto una non francese, l’avesse diretto non Herzi, avrebbe trovato posto? Ecco, meglio non rispondere, al più rispolverare gli annali cannensi: La vie d’Adele proprio di Kechiche, Palma triplice nel 2013, ve lo ricordate? Ecco, dimenticatelo.
PS Non aiuta che la foto promozionale de La petite dernière evochi proprio Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux chez Kechiche.