Ad un anno da Polytechnique, il canadese Denis Villeneuve torna a intrecciare la storia individuale a quella collettiva, traendo ispirazione dall'omonima pièce di Wajdi Mouawad. Alla morte della madre, i gemelli Marwan ricevono un insolito testamento e due lettere da consegnare ai destinatari. Una per il padre che credevano morto, l'altra per un fratello che non hanno mai conosciuto. Dal Canada in cui è vissuta fin da bambina, Jeanne parte subito per il Medio Oriente delle sue origini - diretta ad un paese non meglio precisato - alla ricerca di quei segreti seppelliti per anni. Prima da sola, poi insieme al fratello Simon, la ragazza percorrerà a ritroso le tappe di una vicenda che ha dell'incredibile. In cui la figura della madre assume i contorni mitici di una donna coraggiosa e fuori dagli schemi. Una donna vittima e, al tempo stesso, carnefice del conflitto arabo-israeliano: giornalista prima, attivista poi e infine prigioniera politica per quindici anni. In un doloroso pellegrinaggio - costellato di luoghi e volti eredi delle atrocità della guerra - i due gemelli porteranno a galla un passato di violenza e di vendetta, che si ripercuoterà, inevitabilmente, sulle loro esistenze. Un passato che li costringerà a fare i conti con un odio genetico, trovando sollievo solo nel perdono.
Come pezzi di un puzzle, gli eventi si intersecano in un montaggio parallelo incalzante. Dove i sentimenti contrastanti dei personaggi si riflettono nelle immagini, alternando momenti crudi ed impietosi ad altri delicati e consolatori. E a fare da raccordo tra le inquadrature, gli sguardi dei protagonisti - che spiegano e risolvono - e quelli della macchina da presa, che indaga e spia, soprattutto quando nega allo spettatore. Fino all'epilogo catartico: in cui la memoria diviene ricostruzione di senso e l'accettazione di un dolore atavico, una rinascita.
Incendies colpisce dritto al cuore, lasciando senza fiato, fino al bagliore di luce finale. Che restituisce dignità all'umanità e alla vita.