Il più grande torto che si potrebbe fare all'ultimo film di William Friedkin è confinarlo alla scena più eclatante, misogina e violenta dell'intero Concorso veneziano, già cult dopo poche ore dalla prima proiezione per la stampa accreditata: Gina Gershon tumefatta che, in ginocchio davanti a Matthew McConaughey, è costretta a succhiare avidamente una coscia di pollo. E' semplicemente l'esplosione, il fuoco d'artificio di un'opera che, tra noir e grottesco, riscrive le coordinate del genere e offre la più grande chance della carriera a Matthew McConaughey, attore che ci aveva abituati a commediole confezionate, qui mostruoso killer professionista (detective di giorno) assoldato da Chris (Emile Hirsch), spiantato spacciatore, per uccidere la madre e intascare i soldi dell'assicurazione. Killer Joe funziona perché mischia con enorme naturalezza thriller, noir, dark comedy e grottesco, perché non si preoccupa di destabilizzare il pensiero "comune" (la accennata scena di sesso tra Joe e Dottie, sorella minore di Chris), perché inquadra la disfunzionalità di una famiglia ("capeggiata" da Thomas Haden Church e la seconda moglie Gina Gershon) come poche altre volte il cinema americano era riuscito a fare: con violentissimo distacco e sentito divertimento, sfruttando al massimo la bravura di un cast straordinario.
Dall'omonima pièce di Tracy Letts, il ritorno di Friedkin al cinema che conta passa dalla porta principale. Chapeau.