Sono così rari i film italiani sull'emigrazione che varrebbe la pena di vedere Itaker (germanismo di “italianacci”) solo per questo. Incomprensibile riserbo quello del nostro cinema sui connazionali andati a mendicar fortuna all'estero. Come se non fossero nati qui e non avessero sputato sangue anche per quelli rimasti a casa. Onore dunque al giovane regista siciliano, Toni Trupia (L'uomo giusto), che li ricorda con affetto senza nasconderne i peccati.
Vicenda corale ambientata nel 1962 in Germania, ha per protagonisti principali Pietro (Tiziano Talarico), un ragazzino orfano di madre, e Benito (Francesco Scianna), magliaro napoletano che lo segue in terra teutonica per interesse. Cercano qualcosa di diverso, ritroveranno se stessi, si troveranno, in un percorso identitario a tappe che attraversa i tanti mondi degli espatriati: dall'umanissima e calorosa comunità della fabbrica alla spietata rete dei contrabbandieri.
Se il milieu e l'atmosfera sommessa (bella la fotografia di Arnaldo Catinari) riscuotono l'eredità di Rosi (I magliari), il tema della memoria, dell'emigrazione e della paternità, drammaticamente attuali, tallonano da vicino il cinema di Amelio: manca però l'esperienza del maestro nel dare respiro e coesione alle tante storie - quelle che riguardano Placido (anche produttore) e la Birladeanu risulteranno alla fine superflue nell'economia del film, mentre le sfortunate vicende dei due compari di ventura di Benito avrebbero richiesto uno sviluppo maggiore - così che alla fine si avverte l'assenza di un vero e proprio baricentro narrativo. Una virata più decisa sul rapporto adulto/bambino avrebbe giovato.
Nonostante ciò, resta un talento da mettere a frutto (Trupia), il migliore Scianna visto fin qui sullo schermo e un finale toccante, che non si dimentica.