È la stagione del raccolto, per Claire Denis. A settantasei anni è la regista europea più influente e stimata dal circuito cinefilo europeo, celebrata anche oltreoceano (solo quest’anno ha ricevuto il premio alla carriera dall’associazione dei critici di Los Angeles e dal festival messicano di Morelia), e, nell’arco di pochi mesi, ha ricevuto il riconoscimento per la miglior regia da due dei principali festival europei: a Cannes è stata onorata per Stars at Noon, a Berlino per Incroci sentimentali.

Non ci si dovrebbe mai accanire sui titoli italiani perché rispondono a logiche che spesso ci sfuggono, però è davvero disorientante ribattezzare così pigramente l’originale Avec amour et acharnement (“con amore e implacabilità”, più o meno). Hanno fatto meglio per il mercato internazionale: Both sides of the Blade, “da entrambi i lati della lama”. Che rende meglio l’idea di questo film dal profilo contundente, tuttavia meno lacerante e penetrante di quanto voglia.

Anche qui Denis continua a esplorare il mondo del desiderio attraverso la prospettiva femminile, emancipandola dal banale discorso di quote di rappresentanza: lo sguardo di Denis non elude il torbido e il perturbante, lambisce l’ossessione come cifra dell’appartenenza, mette al centro l’evidenza del corpo e al contempo ne esalta l’intimità oscura e perfino disturbante. Tant’è che Incroci sentimentali si edifica proprio sulla convivenza tra momenti roventi e costruzioni intellettuali, cercando di inserirsi nel solco tracciato dal romanzo di Denis Johnson all’origine del film.

La cosa più intrigante è nella forma, che è contenuto: girato al tempo del Covid, spesso con mezzi alternativi (la scena d’apertura realizzata con un iPhone), questo cinema sembra quasi militante nel prendere di petto la contemporaneità incaricandosi del dovere di raccontarla senza evitarne i feticci, mascherine in primis. Un metodo, quello di adattare le esigenze della finzione alle contingenze della realtà, che rispecchia la freschezza e il rigore della cineasta. Triangolo melodrammatico in una Parigi spenta e memore di tempi migliori, Incroci sentimentali segue il ménage di Jean, conduttrice radiofonica, e Jean, ex giocatore di rugby con precedenti penali e figlio adolescente che vive con la nonna in una banlieue. Quando Sara incontra un ex fidanzato, già amico di Jean, l’equilibrio si spezza.

Dominato da due pesi massimi del cinema francese, Juliette Binoche e Vincent Lindon, la cui chimica erotica è pari al conflitto che i loro corpi attoriali non hanno alcuna intenzione di attenuare, il film mette in campo un lessico amoroso perfino stucchevole se estirpato del suo significante e che qui viene sfruttato antifrasticamente per sfuggire alla trappola del sentimentalismo. Sul fronte maschile, Denis sembra ridurre gli uomini a funzioni del racconto, mentre si colloca sull’orizzonte di lei, facendo affiorare l’esuberanza e il disagio dello stupore di sentirsi divisi tra due fuochi, eppure addomestica la dimensione fiammeggiante di un mélo più rigoroso che integro, più pensato che esperito, dove lo strazio emotivo resta una promessa struggente non sempre mantenuta.