"Se succede, noi siamo i primi della lista". Così Pino Masi (Claudio Santamaria) convince il restio Renzo Lulli (Francesco Turbanti) a montare sulla A112e fuggire da Pisa con lui e Fabio Gismondi (Paolo Cioni): è l'1 giugno 1970, la notizia che si è diffusa nell'ambiente del movimento studentesco è quella di un imminente colpo di stato come quello dei colonnelli in Grecia di tre anni prima.

E' sospeso proprio come il periodo che racconta - tra l'ingenuità degli anni '60 e lo spauracchio di una guerra civile - il film d'esordio di Roan Johnson, I primi della lista, road-movie grottesco e surreale che prende le mosse dalla storia vera di un episodio nella vita del cantastorie Pino Masi ("La ballata del Pinelli", "Compagno sembra ieri", "Prendiamoci la città") e dei due giovani musicisti che in quei giorni provavano con lui, decisi a raggiungere dapprima la Jugoslavia, poi l'Austria, per evitare il temuto colpo di stato. Ed è proprio grazie a questo continuo sguardo disincantato, mai troppo appesantito dal fardello ideologico, che il film riesce a perseguire il proprio obiettivo, raccontare l'incredibile, grottesca vicenda, ormai colorata di leggenda, dei “tre ragazzi che chiesero asilo politico all'Austria”. “L'Austria è un paese democratico” – “Democratico? Ma se c'è nato Hitler in Austria oh!”.

I primi della lista è “un film che parla di un tempo che adesso sembra epico e lontanissimo”, dice lo stesso Johnson, di un periodo - il 1970, all'indomani della strage di Piazza Fontana - in cui c'era comunque ancora “lo spazio per un orizzonte mitico e avventuroso”, in cui era ancora possibile, a vent'anni, fare “meravigliose cavolate”. La rabbia dei genitori, la “presa per il culo” di un'intera città, Pisa, dove ancora oggi, a più di 40 anni di distanza, Pino Masi canta le sue canzoni di lotta, per strada, e la sua “carta di credito è il piattino delle offerte”. Con lui, nella coda finale del film, gli altri due protagonisti reali della storia, in un incontro/sovrapposizione con gli attori che li hanno fatti tornare ragazzi. Ed è soprattutto da qui, anche dopo aver cantato "Quello che non ho" di De Andrè (canzone del 1981, successiva al periodo raccontato dal film, ma in un certo senso emblematica nel descrivere "la fine di un'epoca"), che i tre personaggi del film di Johnson riescono a trovare la perfetta simbiosi con i veri protagonisti della vicenda, surreale e grottesca quanto si vuole, ma non per questo inverosimile. Genuina, proprio come il film che la racconta.