Due cuori e una chitarra. Giovani musicisti, Negar e Ashkan vogliono a tutti i costi formare una band, procurarsi passaporto e visto e lasciare Teheran. Il sogno è quello di potersi esibire in Europa, ma per farlo non possono fare a meno di mettersi nelle mani di Nader, traffichino e tuttofare che li porterà per le vie, gli scantinati e le zone più remote della città: è lì, celato e sotterraneo, che il panorama musicale della capitale iraniana tenta di fuggire la repressione di autorità e istituzioni. Non è più tempo di cavalli ubriachi per Bahman Ghobadi, per la prima volta impegnato nella sua decennale carriera a raccontare i ritmi, i colori, il dinamismo e le contraddizioni di una metropoli come Teheran, abbandonando il natio Kurdistan e anticipando - pregio che compete solamente ai cineasti più illuminati (o fortunati) - la rivolta dell'Onda verde contro il regime di Ahmadinejad. Terminato nel 2009 e vincitore del Premio Speciale della Giuria nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes, I gatti persiani (titolo non casuale: come in Iran è vietato portare fuori sia i cani che i gatti, allo stesso modo i ragazzi protagonisti del film sono costretti a nascondersi per suonare la loro musica, virtualmente proibita dalle autorità) scava nell'underground urbano portando in superficie l'esplosiva vena musicale di un'intera generazione. Per farlo, Ghobadi mette in chiaro sin dalla prima sequenza che sarà l'intero film ad assecondare diegeticamente l'aspetto sonoro (emblematico, in tal senso, il frammento con il rapper Hichkas e la sua Ekhtelaf), e non viceversa, seguendo neorealisticamente per tutto il corso del racconto i suoi personaggi, per la maggior parte musicisti nei panni di loro stessi (come i due protagonisti, Ashkan Kooshanejad e Negar Shaghaghi), in alcuni casi talenti straordinari, quali la cantante Rana Farhan, volutamente messa fuori fuoco dal regista, evidente schiaffo alla censura iraniana. Contro la quale Ghobadi - costretto a girare il film molto in fretta (17 giorni di riprese), senza alcun permesso - sferra il definitivo attacco scegliendo un finale tanto tragico quanto, purtroppo, estremamente forzato. Nota a margine: "Avvilente l'idea di doppiare un film così", si legge sul Mereghetti per Il tempo dei cavalli ubriachi. Criminoso aver pensato di fare lo stesso per questo.