A Librino, un quartiere periferico e degradato di Catania, vive la tredicenne Manuela (Carla Marchese) con la sua famiglia: una madre dai capelli biondo platino e un padre disoccupato (Donatella Finocchiaro e Giuseppe Fiorello che dopo Galantuomini tornano a recitare insieme) più la sorella, una Paris Hilton dei poveri.
Dopo aver finto di avere poteri miracolosi e ritrovato la testa di una statua rappresentante la Madonna, Manuela si ritrova, suo malgrado, quasi santa, circondata da persone che accorrono con doni, fiori, soldi a visitarla e a chiederle la grazia.
Ben presto l'evento prodigioso diventa un business per la madre che ne fa una vera e propria operazione di marketing, con tanto di gadget, alla stregua della fattucchiera (Piera Degli Espositi) che fa i tarocchi.
E' il nuovo lungometraggio di Roberta Torre, I baci mai dati, che apre il concorso della sezione Controcampo italiano della 67esima Mostra di Venezia.
Zigzagando per le strade sul motorino della nuova Miss Bernadette di Librino, Roberta Torre ci porta in un quartiere costruito negli anni Sessanta come città satellite modello, una sorta di New Town che ha poi disatteso le aspettative progettuali dell'architetto giapponese Kenzo Tange. Tra atmosfere all'Almodóvar e immagini che riconducono al pop, la regista evidenzia le potenzialità estetiche del luogo percorrendolo con la sua costante cifra stilistica dai toni teatrali e stranianti alla Tano da morire in una commistione tra documentario e finzione.
Una storia che descrive le tradizioni popolari del nostro paese, ma si perde nella ricerca forzata di un senso e di un miracolo che resta un miraggio...