Mai in questa Venezia 2010 avevamo visto brandelli di pressante attualità schizzare dentro il grande schermo. Homeland, del greco Syllas Tzoumerkas, è un'istantanea della drammatica situazione di collasso economico e sociale che sta falciando la Grecia. E lo fa spargendo nel tessuto visivo della sua opera prima, stralci cronachistici di quelli che sono stati gli scontri di piazza avvenuti pochi mesi ad Atene e Salonicco, dove la storia è ambientata. Tutto questo all'interno di un tessuto corale, narrativamente altmaniano, basato sul pretesto del ventisettesimo compleanno del tormentato e iracondo Stergios. Attorno a lui ruotano diverse, riuscite, caratterizzazioni: la madre Gena, depressa ed esaurita; la zia Stella che insegna letteratura ai ragazzini facendogli cantare e riflettere sulle parole dell'inno nazionale greco; il fratello Thanos e lo zio Antonis, rimasti bloccati nel traffico dovuto alle manifestazioni di piazza; e Anna che lavora in uno studio tv. Se così da un lato l'intreccio narrativo si avviluppa attorno al dramma della famiglia, a questa sorta di passato recente di difficile comune condivisione; dall'altro l'inganno, le menzogne, la violenza familiare diventano metafora galoppante, esibita con celerità e sfrontatezza, di un parallelo declino della nazione greca.
Parliamo di quei 30 anni che vanno dalla dittatura dei colonnelli fino alla corruzione e all'impoverimento della più recente classe politica. Non c'è via di fuga da questo Homeland: un treno in corsa di suggestioni, di fotografie e ritagli del passato, di montaggio concitato, di audio eterogeneo e onnicomprensivo, di scelte di regia che aggrediscono lo spazio inquadrato e lo velocizzano iperbolicamente. Un cinema pieno, denso, composito che sa mescolare finzione e cronaca con inusitata ed energica passione. Forse ingenuo in qualche passaggio drammaturgico, ma assolutamente sincero nelle intenzioni e nel sentito appello che rivolge allo spettatore ignaro dello sprofondo di un paese europeo fin troppo vicino a noi.