Nel 1990 Timothy Treadwell decise di dare una svolta alla sua vita. Abbandonando i pochi legami con il cosiddetto mondo civile, l'attivista-ecologista di Long Island sposò la causa dei grizzly, gli enormi orsi che, per colpa dei cacciatori di frodo, rischiavano l'estinzione. Armato soltanto di una piccola telecamera si trasferì nel Katmai National Park, in Alaska. Qui, in condizioni proibitive, realizzò un'enorme quantità di riprese grazie alle quali, oltre a documentare la vita della comunità animale della zona, tentò di dimostrare il rischio che correvano i suoi "amici", scagliandosi contro tutti coloro che non impedivano questo massacro. Ciò che emerge dal docu-film di Herzog, è però una realtà ben diversa. Non solo perché la caccia non era un fattore di rischio, ma soprattutto perché a poco a poco ci si rende conto che il protagonista era vittima di un disagio emotivo che lo portava a distorcere la visione delle cose. Ed è qui che entra in scena quel fantastico autore/non autore che è Werner Herzog. Intervistando chi conosceva Treadwell, ci offre il quadro desolante di una vita priva di veri affetti (i genitori sembrano quelli di Woody Allen in Prendi i soldi e scappa, senza maschere di Groucho Marx), sempre alla ricerca di un appiglio a cui ancorare le proprie convinzioni. Sposando la causa dei grizzly, Treadwell aveva trovato la sua ragione di vita e per questa, aveva affermato che sarebbe stato disposto anche a morire. Era davvero convinto di avere stabilito un rapporto con i plantigradi, di essere uno di famiglia. Al punto che convinse la sua fidanzata a seguirlo nell'impresa. Erano insieme, il 6 ottobre del 2003, quando un orso li attaccò, uccidendoli, divorandoli. Di quei terribili momenti non esistono immagini, ma la telecamera, sempre accesa sebbene con l'obiettivo chiuso, ha registrato sei terribili minuti in cui Treadwell, azzannato dall'animale, grida alla compagna di fuggire. Inutilmente, perchè lei rimarrà lì, fino al tragico epilogo. Herzog, grande anche per questo, non mostra un'immagine né fa sentire un solo secondo di quella registrazione. Ma Grizzly Man colpisce ugualmente come un pugno allo stomaco, perché trasmette un senso di inquietudine perché, come dice la voce fuori campo del regista, "negli occhi di quegli animali si legge solo indifferenza" e non quell'empatia che Timoty Treadwell disperatamente cercava.