"Asia Argento dice che per colpa della scena del bacio col rottweiler non ha più chiuso determinati contratti? Pensate che io avrei dovuto girare I predatori dell'arca perduta...". Sulla carta stampata e non solo, questo è quel che rimane di Go Go Tales di Abel Ferrara: l'ironia del regista di fronte al dietrofront della sua "musa". A prescindere dalle storture massmediali, il cattivo segno - come mutatis mutandis già fu per New Rose Hotel - di una poetica a corto di ossigeno, diciamo pure di una (ennesima) smobilitazione autoriale del regista di Fratelli, The Addiction e Il cattivo tenente.
Ambientato in un night club newyorkese ricostruito a Cinecittà dopo che - rivelazione paupero-maudit di Ferrara - il primo set "è stato distrutto dal proprietario per il mancato pagamento dell'affitto", Go Go Tales inquadra in un'unica serata le difficoltà di Ray Ruby (Willem Dafoe), carismatico impresario del night club Paradise, alle prese con lo sfratto imminente, le lamentele delle spogliarelliste non pagate - tra le quali la scaltra e denuda Stefania Rocca, la splendida modella prestata al cinema Bianca Balti, la rediviva e biondissima Justine Mattera e, appunto, la cinofila Asia Argento -, la decisione del fratello (Matthew Modine) di chiudere il rubinetto e, a rincarare la dose (sic!), la spasmodica ricerca di una milionaria schedina del lotto.
Cast "rinforzato" da Bob Hoskins, Burt Young, l'ingiustificabile Riccardo Scamarcio (Ferrara vorrebbe farci Pericle il Nero dal romanzo di Ferrandino), Go Go Tales - il titolo viene dalle go go dancers, altra cosa dalle lap dancers… - vorrebbe essere il ready-made del cinema post-post-Nicholas St. John di Ferrara: improvvisazione, sregolatezza, notte e carne, in flusso lisergicamente vitale. Vorrebbe, ma non riesce: per quanti l'hanno amato e continuano ad amarlo, fa rabbia, peggio compassione, questo miserando approdo di una poetica che da sempre si volle alla deriva, perché umana, troppo umana. Forse lo è ancora, ma la vita di Ferrara ha fagocitato il suo cinema.