Il cinema americano degli ultimi anni ci ha abituati alla bassa macelleria, alle torture, agli organi spiaccicati alle pareti. Alcuni hanno inveito, altri goduto, i più evitato la questione disinteressati. L'horror ha pagato, l'horror ci ha guadagnato. Non sono mancati osanna, blog e cricche di nuovi cultori. Che dire allora di Frontieres, francese all'anagrafe ma "imbevuto" di sangue americano? La violenza, gli ettolitri di emoglobina, l'e(ste)tica del disgusto, sono quelli dei padri putativi, qui talmente in eccesso da sfiorare la parodia. Di certo si vuole evocare quel cinema: c'è l'ostello (Hostel), i maiali (Saw), la famiglia di degenerati (Non aprite quella porta). Ci sono quattro ragazzi col peccatuccio da nascondere in un posto fuori dal mondo. C'è la carneficina insostenibile, esagerata, difficile da prendere sul serio. E disgraziatamente c'è un regista che ci ricama sopra. Gens (già autore dell'inglorioso Hitman) accampa moventi politici, infila nel canovaccio banlieue, nazismo e inferno familiare, suggerisce affinità tra il vento di restaurazione che soffierebbe sul mondo e il sadismo dell'horror di oggi. Trasformando l'allegra parodia di un genere in auto-parodia. Involontaria, orrida e triste.