Essex, Gran Bretagna: Mia (Katie Jarvis, al debutto sullo schermo) ha 15 anni, un carattere imperioso, nessuna amica, una madre coetanea (Kierston Wareing, It's a free world di Ken Loach), eccetto per l'anagrafe, una sorellina specilizzata in turpiloquio e una grande passione per la danza hip-hop. Ogni giorno e' uguale all'altro, fin quando in casa non compare un amichetto occasionale della madre, Connor (Michael Fassbender, straordinario protagonista di Hunger e sulla Croisette anche con Inglorious Basterds di Tarantino): l'aitante giovanotto portera' l'amore, e non solo.

E' Fish Tank, opera seconda dell'inglese Andrea Arnold, regista premio Oscar per il corto Wasp nel 2003 e gia' premio della Giuria a Cannes con Red Road nel 2006. Se per l'acclamato esordio il genere di riferimento era il thriller, qui la Arnold si muove agevolmente tra le coordinate del romanzo di formazione - dovremmo dire riformatorio... - e quelle del ritratto d'interni, attento alla caratterizzazione psicologia dei personaggi, su un basso continuo drammatico. Gran parte dei meriti vanno ascritti alla protagonista Katie Jarvis, reclutata dalla Arnold mentre litigava col ragazzo in una stazione e assente sulla Croisette perche' fresca mamma: la sua spontaneita', come per gli altri interpreti valorizzata dall'assenza di una sceneggiatura definita, e la sua presenza scenica la pongono gia' tra le candidate al premio miglior attrice.

La sua Mia, dolce e volitiva neet, conquista da subito le simpatie dello spettatore, che si ritrova calato nel white trash inglese, dove l'alimentazione e' ad alcool e junk food, l'istruzione facoltativa, l'immaginario hip-hop invasivo e il ballo unico ponte intrafamiliare e intergenerazionale. Ne succederanno di tutti i colori, molti di questi prevedibili, ma la Arnold sa apprezzabilmente frenare se non sui didascalismi, almeno sull'enfasi stilistica e soprattutto narrativa: non persegue un minimalismo per sottrazione, ma tiene la misura, arrestandosi prima che melo' e lacrime invadano lo schermo. Nel fuoricampo, si sente la lezione del connazionale Ken Loach, ma anche dei disperati adolescenti di Gus Van Sant.