East of Paradise è uno dei classici film-trabocchetto. Nel senso che se si vede solo la prima parte (come probabilmente ha fatto l'estensore della scheda ufficiale del sito della Mostra), si rischia di parlare di una cosa. Mentre East of Paradise è ben altra. Nella prima parte c'è in effetti la lunga intervista alla madre del regista che racconta i suoi terribili giorni vissuti da profuga polacca in Russia, divorata dai pidocchi, dal freddo e dalla fame. Un racconto struggente, di quelli che ti danno l'idea di essere già stati visti e ascoltati tante altre volte ma che sai che sono importanti proprio perché ogni racconto è il racconto di una vita, di un dramma che anche se condiviso resta terribilmente unico. Inizia poi la seconda parte, con un salto indietro di qualche anno, all'epoca del punk, e di tutto quel periodo in cui per i giovani valeva davvero il motto "non so quello che voglio ma so come ottenerlo". Protagonista Ringo, un giovane tossico reso orbo dalle percosse di un gruppo di drag queen che vive di espedienti e che, in realtà, è anche l'interprete di un porno diretto dallo stesso regista. La telecamera segue il suo percorso esistenziale in maniera documentaristica, senza risparmiare allo spettatore scene davvero disturbanti. Anche perché la voce fuori campo del regista confessa di avere assemblato tutto il materiale girato durante vari anni, compreso quello che avrebbe dovuto essere un film sul concerto dei Sex Pistols e che non si è potuto realizzare a causa del suicidio del produttore. Vero protagonista diventa comunque il degrado. È devastante assistere alla lenta agonia di Ringo, un personaggio che ci appare incredibilmente puro, come se la sua anima, al contrario del suo corpo, riuscisse a preservarsi da qualsiasi corruzione. Il regista insegue le sue triste evoluzioni, dalle corse in skate board alla cella dell'obitorio. Una serie di eventi che portano a considerare, quasi comparandoli, i due inferni, quello vissuto dalla madre e quello che in cui si vive oggi. Kowalski racconta le sue esperienze osservando che è sempre una lotta con il potere che accomuna i dolori della gente. La lotta, sostiene, è l'essenza della vita. Volutamente estenuante nella prima parte, il film lascia comunque la sensazione di un tentativo riuscito di contrapposizione fra due epoche con i loro rispettivi orrori e le rispettive tragedie filtrate attraverso gli occhi di generazioni differenti, idealmente unite nel tenero abbraccio finale tra madre e figlio.