"Quando al potere ci sono i grigi, prima o poi arrivano sempre i neri". E' questo il senso ultimo della colossale opera postuma di Aleksej Yuryevich German, E' difficile essere un Dio, potentissima allegoria sulle dinamiche del potere, sul conseguente declino dell'umanità e sull'inesauribile spinta che muove l'uomo nel cercare di cambiare il corso degli eventi.

Su un pianeta lontano, "l'oltregolfo" Arkanar, la popolazione vive un periodo storico equivalente a quello della Terra di 800 anni fa: una sorta di medioevo dove tutti gli intellettuali o chiunque sappia semplicemente leggere e scrivere viene messo al bando. Per osservare da vicino le dinamiche di questo processo vengono inviati alcuni scienziati terrestri, che operando in incognito devono rimanere neutrali senza influenzare le vicende storico-politiche del pianeta. Tra questi, troviamo Don Rumata (Leonid Yarmolnik), temuto e venerato dai cittadini locali, considerato il figlio del dio pagano Goran. "Che cosa faresti al posto di Dio?": Don Rumata non rimane a guardare, tenta di salvare dalla gogna gli intellettuali del luogo, ma il suo passaggio non potrà evitare morte e distruzione.

Costringe a riposizionare lo sguardo, E' difficile essere un Dio, opera (la cui lavorazione è durata circa 15 anni) che obbliga a sentirsi parte di un frammento di eternità difficilmente dimenticabile: tratto dal romanzo omonimo dei fratelli Strugackij (pubblicato nel 1964) , il film di German è un esperimento fantascientifico e naturalista, un sensazionale affresco senza tempo che ci ricorda come siamo stati, come siamo e come rischiamo di diventare. Senza l'utilizzo di particolari innovazioni tecnologiche, German - che ha adattato il romanzo per lo schermo insieme alla moglie Svetlana Karmalita - costruisce un mondo rurale e fangoso, raccontato attraverso il filtro di un bianco e nero nebbioso dato dalla straordinaria fotografia di Vladimir Ilin e Yuri Klimenko, sensazionali quando si tratta di effettuare pianisequenza asfissianti atti a cogliere ogni minimo dettaglio nel caos che riempie l'immagine.

Saturo e disturbante, complesso e ciclico, il film è un flusso ininterrotto lungo 170', sgombro di qualsiasi scena di raccordo: il quadro sembra quasi implorare per qualche centimetro di spazio in più, così pieno di uomini, animali, carogne, in un tripudio disgustante di interiora, moccio e vomito: la pioggia è incessante, ma anziché lavare via amplifica il pantano e il paludoso corso degli eventi. Gli animi sono corrotti, di più lo è la carne: "Vi annienterei, ma è difficile essere un Dio...".

Non per tutti, certo, ma E' difficile essere un Dio segna un ulteriore, nuovo capitolo della storia del cinema. Proprio come fece qualche anno fa il Faust di Sokurov. Anche per questo, crediamo sia doveroso non cambiare una virgola alla definizione data all'opera di German dal suo protagonista, Leonid Yarmolnik: "Come ogni autentica opera d'arte ci ha regalato l'eternità. E' un film per tutti i tempi, per tutti i secoli. Un film che ragiona su come sia senza senso tentare di ricostruire una civiltà, ma allo stesso tempo come sia impossibile smettere di provarci". Un capolavoro.