I registi iraniani che come Ali Asgari realizzano film che criticano o semplicemente sottolineano le numerose ingiustizie, incongruenze ed assurdità del regime, non hanno mai potuto godere della gioia di vederli proiettati nel loro paese. Lo aveva già raccontato con malinconia ed amarezza, Asgari, nel suo personalissimo documentario Higher than Acidic Clouds presentato allo scorso Torino Film Festival, dove spaziava con la mente tra i ricordi e i sogni, durante il suo isolamento casalingo costretto dal governo, dopo la “scomoda” partecipazione a Cannes del suo film Terrestrial Verses, diretto con Alireza Khatami.

La pellicola, uscita in Italia con il titolo di Kafka a Teheran, si componeva di 9 episodi narranti piccole grandi assurdità della vita quotidiana nell’Iran di oggi, tra repressione e imposizione. Gli amici, la madre, le sorelle di Ali Asgari non hanno mai visto un suo lavoro nel buio di una sala cinematografica iraniana. Può sembrare un dolore minore, rispetto ai tanti riconoscimenti, ma la mancata condivisione di un’opera, proprio con quel popolo che ne è soggetto, anima e corpo, genera una crepa in quello che dovrebbe essere il giusto e più onorevole percorso per un artista.

E questa spaccatura che porta nel cuore Ali Asgari è la stessa che guida le azioni del protagonista del suo nuovo film, Komedie Elahi, il regista Bahram Ark, nei panni di una versione romanzata di se stesso in una missione clandestina per presentare il suo film al pubblico iraniano, interamente realizzato in turco-azero, eludendo la censura governativa e l’assurda burocrazia.

In concorso nella sezione Orizzonti alla 82a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, il film affianca ad Ark, sin dalla prima scena pronta a scarrozzarlo in giro per Teheran in sella alla sua vespa rosa shocking, la produttrice Sadaf Asgari, anche lei persona non grata al regime poiché tra le attrici di quel Terrestrial Verses di cui sopra. I suoi capelli blu, sfoggiati senza neanche la minima intenzione di indossare un hijab, sono un ulteriore provocazione ma per i veri cinefili, ricordano i due compagni d’avventura, blue is the warmest color.

Divine Comedy (Komedie Elahi)
Divine Comedy (Komedie Elahi)

Divine Comedy (Komedie Elahi)

Nella prima tappa del suo viaggio di ribellione e ritratto della statica e soffocante burocrazia iraniana, all’ufficio per ottenere il visto della censura, scopriamo che Bahram ha un gemello, Bahman, anch’egli regista ma molto più famoso in quanto autore di film commerciali che vengono sempre acclamati in sala. Lui fa film divertenti, ricordano a Bahram, mentre lui si ostina a fare film realistici, a non voler lasciar perdere il reale.

Quello che si presenta solo come la prima tappa dell’avventura dei due in vespa, si rivelerà poi proprio il gancio narrativo che porterà Komedie Elahi ad uscire quasi filosoficamente dai confini dell’Iran. Ali Asgari infatti, coadiuvato nella sceneggiatura da Alireza Khatami e lo stesso Bahram Ark ha chiaramente due obiettivi: proseguire quell’atto di resistenza ed invito a perseverare di cui Kafka a Teheran e Higher than acidic Clouds erano le prime declinazioni, accentuando i toni della commedia e del sarcasmo; interrogarsi sull’annosa questione dell’eterno divario tra il cinema popolare e quello d’autore.

In questo inferno dantesco che è la Teheran cinematografica che attraversano i nostri eroi, dove c’è spazio solo per le rassegne su Rocky e i film “strategici”, i due gemelli sono le due facce del cinema che non dovrebbe escludere o prediligere un solo sguardo, una sola visione del mondo ma lasciare che le opere abbiamo la libertà di mostrarsi e trovare il proprio pubblico.

Riflessivo, speranzoso, combattente, resistente, il cinema di Ali Asgari si fa sempre più brillante, concreto e perché no, divertente, avvicinandosi a quel “ridendo e scherzando” di italiana tradizione che il regista ha conosciuto bene durante il suo tempo in Italia.