Il cotone è salvo, e quel che è più importante: “Io decido il mio futuro”. Peana all’autodeterminazione giovanile e vieppiù femminile, è Cotton Queen, opera prima di Suzannah Mirghani, sudanese-russa classe 1978.

In cartellone alla Settimana della Critica, ci porta in un villaggio di coltivatori di cotone in Sudan focalizzandosi sull’adolescente Nafisa (Mihad Murtada), imbrigliata ma non doma tra passato, ovvero la resistenza dai colonizzatori britannici incarnata dalla matriarca e nonna Al-Sit, e futuro prossimo, allorché un giovane e fascinoso uomo d’affari progetta sviluppo e propone cotone geneticamente modificato: che ne sarà di Nafisa?

Lei, avete già capito, deciderà per sé, e per tutti o quasi, affrancandosi sia dalla tradizione che dalla minaccia tech, e neocoloniale, proiettando sullo schermo un empowerment femminile da far tremare – rigorosamente maschile – i ginocchi. Ma c’è di più, ovvero la lotta contro il matriarcato, con voltaggio generazionale, ed è qui che Mirghani accampa il film, salvando capra e cavoli, pardon, cotone e comunità.

Piacerebbe il film, tanto è oleografico, programmatico e giudizioso, a Nadine Labaki, ma solleticherà anche i fautori di un terzomondismo à la page, ben vestito e assertivo, che appunto si porta su tutto. Come esordio non brilla per particolari doti cinematografiche, però Cotton Queen illumina per sapienza ideologica o, meglio, per furbizia geopolitica. Viva Mirghani, viva Nafisa, e viva questo cotone, pronto a finire con etichetta rigorosamente bio, e financo equo e solidale, nei Zara, Mango et similia del mondo. Va detto, ci starebbe benissimo pure il film.