Jurek ha quasi nove anni quando trova il coraggio per fuggire dal ghetto di Varsavia. Per salvarsi dai nazisti si lascia alle spalle i fratelli e i genitori: è l'inverno 1942 e per il ragazzino comincia un durissimo periodo che è obbligato a trascorrere soprattutto nascosto nei boschi. Esce allo scoperto solo quando deve chiedere ospitalità, ricambiandola con il lavoro nei campi. Nel suo disperato girovagare, Jurek incontra persone buone e caritatevoli che lo aiutano e altre che lo trattano da nemico. In una occasione si frattura la mano nell'aratro, il chirurgo in ospedale si rifiuta di operarlo perché ebreo e Jurek resta col braccio destro amputato. Non perde tuttavia la forza per andare avanti e arriva alla primavera del 1945 quando si profila la fine della guerra.

C'è un romanzo come punto di partenza di questo Corri ragazzo corri che Uri Orlev ha scritto, ispirandosi alla storia vera di Yoram Fridman e Pepe Danquart ha diretto “con lo spirito di un racconto di avventura, la storia di un ragazzino costretto a crescere molto in fretta per poter sopravvivere, ma che in fondo resta un bambino”.

Girato con cura, con un taglio di immagini che fonde bene realismo e immaginazione, il racconto si snoda lungo una dinamica drammaturgica intensa e commovente, capace di far emergere le numerose sfumature del dolore attraverso cui passa l'adolescente Jurek. Che, per sopravvivere, nasconde l'essere ebreo a favore della aderenza alla religione cattolica. Il dato spirituale è inserito con delicatezza e equilibrio all'interno della trama e degli aspri scenari di sofferenza e privazioni.

Ne deriva un prodotto di qualità che si propone come esempio della possibilità di raccontare l'evento Olocausto non più legato al periodo storico ma in forma più universale, luogo della terribile presenza del Male nella Storia e nel mondo. Ad interpretare con sensibilità il ruolo di Jurek ci sono Andrzej e Kamil Tkacz.

Nel finale appare il vero Friedman com'è oggi (79 anni), in Israele con la famiglia.