Lapidario Le Monde: la tecnica si evolve, i sogni no. Si parlava di Hollywood, nello specifico della renaissance dei generi classici, a cui di diritto appartiene anche questo polpettone melodrammatico tratto dal bestseller di Sara Gruen, Come l'acqua per gli elefanti.
A dire il vero il romanzo offriva diverse chiave di lettura ma Francis Lawrence, regista non memorabile dell'opinabile Constantine, non era una garanzia di coraggio, mentre la presenza nel cast dell'unica vera star rimasta oggi in America - Robert Pattinson (affiancato peraltro da due Premi Oscar, Reese Witherspoon e il malvagio ossidato Christoph Waltz) - indicava inequivocabilmente l'esito dell'operazione. Stucchevole e vampirizzata dalla star di Twilight.
Siamo negli anni della Grande Depressione e Pattinson è figlio unico di una coppia di immigrati polacchi: li perderà in disgrazia, rovinandosi finanziariamente e finendo peggio, in un circo diretto da un sadico e nel letto della di lui moglie, la slavata Reese, intensa come un palo della luce a mezzogiorno. Ed è allora che esplodono fremiti in technicolor e cattive passioni, ascessi e palpiti, gloria e distruzione, in questo Titanic coi tendoni (come nel film di Cameron, anche qui il racconto viene circoscritto dal ricordo di un vecchio sopravvissuto) che fa a botte con la Peta (l'associazione animalista) e a cazzotti con la credibilità. Prima di schiantarsi nell'iceberg di un finale annunciato.
Peccato. Nello smarcarsi tanto da Chaplin quanto da Fellini, Lawrence non coglie fino in fondo l'implicita metafora del circo, bagliore e orrore della società americana: eppure era un percorso obbligato, considerato il periodo (la Grande Depressione) e l'abbrutimento dell'homo oeconomicus; e se le affinità orwelliane tra uomini e bestie - entrambi in gabbia, feroci e istintivi, massacrati e massacratori - sono smaccate, il discorso sulla relazione ambigua, consustanziale e storica, della cultura americana con il mondo animale (solo al cinema ha avuto molteplici declinazioni: dal cowboy a cavallo al cane di famiglia, dallo squalo all'orca assassina), caso particolare del più generale problema di come addomesticare una natura selvaggia, è poco incisivo. Tolte ovviamente un paio di ignobili frustate e la rivincita senza appello di una sontuosa elefantessa su un branco di attori sin troppo ammaestrati.