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Come fratelli
Nella mediocrità generale con la quale un genere nobile e difficile come la commedia viene troppo spesso trattata dal nostro cinema, Come fratelli ha una grazia, un garbo, una cura che lo rendono perfino più interessante di quel che è effettivamente. Intendiamoci: i cliché non mancano, i caratteri monodimensionali sono in agguato e l’intreccio è prevedibile, ma dalla sua ha la freschezza di una regia tanto corretta quanto funzionale, l’intelligenza di un casting non banale, una tendenza feel-good che non cede totalmente al côté melenso.
Come fratelli parte dalla tragica morte di due giovani donne, amiche inseparabili da sempre e mamme da pochi mesi, che induce i rispettivi vedovi, tramortiti dal lutto e dalla responsabilità, ad aiutarsi a vicenda, decidono di convivere per crescere insieme i bambini. Il titolo allude al legame che si instaura tra loro ma, evidentemente, anche a quello tra i padri: è il ritratto, tenero e affettuoso, di una famiglia non convenzionale fondata su quell’amore che prende le sembianze dell’amicizia, dove l’elemento più importante riguarda soprattutto il ricollocamento sentimentale e dunque sociale dei due (giovani) adulti. Se, dopo un po’ di anni di decantazione, il vitale ed empatico Alessandro si lancia in avventure estemporanee, il più ansioso e rigido Giorgio (il cui figlio ha un carattere più simile ad Alessandro e viceversa) sembra più restio. Finché conosce Noël: l’equilibrio familiare reggerà alla prova dell’amore?


Come fratelli
Su sceneggiatura di Martino Coli, incardinata su una formula efficace, Come fratelli ha il look malinconico plasmato dalla fotografia di Nicola Saraval, che esalta i colori di un sorridente autunno veneto (location a Treviso e nel padovano), l’agilità garantita dal montaggio dell’esperta Simona Paggi e la pragmatica regia del local Antonio Padovan. Ma ciò che fa maggiormente piacere è – vivaddio – la scelta di focalizzarsi su personaggi maschili finalmente contemporanei, lontani dai logori schemi patriarcali e consapevoli della fragilità come valore costruttivo (altri rari esempi nell’alveo della commedia: L’amore, in teoria, il dittico Maschile singolare e Maschile plurale, Troppo azzurro).
Ed è interessante che a interpretarli siano Pierpaolo Spollon e Francesco Centorame, che nel loro ormai costante training divistico capitalizzano le rispettive esperienze da maschi etero non-basici: l’uno quella maturata nella fiction Rai, di cui è ormai volto essenziale per carisma buffo e malizioso; l’altro, in costante crescita tra teatro e serialità, da SKAM, il più importante vivaio della nuova leva attoriale (come la coprotagonista Ludovica Martino, ormai una garanzia, con la quale la chimica è naturale). Come fratelli funziona anche grazie a loro, circondati da comprimari rodati (Giuseppe Battiston, feticcio di Padovan; Roberto Citran, simbolo del nordest cinematografico; Alfonso Santagata come pediatra), facce nuove (Paola Buratto e Mariana Lancellotti) e bambini con notevole maturità espressiva (Noah Signorello e Giacomo Padovan).