Ora basta. Buona - si fa per dire - la prima, Oren Peli c'ha preso gusto, ma solo lui: spettatori in fuga, critica alla macchia o col grilletto tirato. Parliamo del regista e sceneggiatore del primo Paranormal Activity, soggettista dei due sequel, e ora anche soggettista, co-sceneggiatore e produttore di Chernobyl Diaries – La mutazione.
Il tentativo è sempre quello: un riff di POV, un disarmante guerrilla-style per basso continuo, un'amatorialità tanto finta quanto esibita per melodia e il genere thriller-horror per armonia. Appunto, basta. Qui non c'è più la casa infestata, ma la centrale infestata, che 25 anni dopo diviene teatro del turismo estremo di sei ragazzi inetti, imberbi e scritti con l'accetta (o lo scopino, fate vobis): anziché – quattro di loro - andare a Mosca, accettano la proposta del “maledetto” della combriccola e virano su Prypiat, già città-dormitorio degli addetti alla centrale di Chernobyl ora disabitata causa radiazioni. Non proprio disabitata: branchi di cani e mute di altri esseri, la fine è servita, ma il terrore corre nel fuoricampo, la suspense latita, la noia incombe e a nulla serve scongelare la Guerra Fredda.
Semplicemente, senza immedesimazione l'architettura di genere crolla miseramente, e questi ragazzi in lotta per la sopravvivenza per empatia non sono che dei lontanissimi parenti, se non degli sconosciuti totali. La sfida persa è questa: come può interessarmi un diario se non me ne frega nulla di chi l'ha scritto? Mediti il caro Peli, e cerchi di mutare davvero.