Banel & Adama, l'opera prima, unica in Concorso a Cannes 76, della senegalese-francese Ramata Toulaye Sy. Espressione di quel cinema Africano che sulla Croisette ha trovato gloria con il maliano Souleymane Cissé, premiato quest'anno con la Carrosse d'Or della Quinzaine, Abderrahmane Sissako dalla Mauritania, Idrissa Ouedraogo dal Burkina Faso e il maliano Mahamat-Saleh Haroun.

Geografia e genere hanno sicuramente catalizzato l'inserimento in competizione, Banel & Adama, peraltro palesemente supportato nella scelta costumi dall'armocromista, non va oltre il compitino edificante, i cahiers de doléances nei riguardi di un mondo cattivo, gretto e patrimatriarcale, che non sa riconoscere e dunque proteggere l'amore.

A farne le spese la coppia protagonista, incarnata dai debuttanti Khady Amane e Mamadou Dallo, che in un remoto villaggio del Senegal vorrebbero solo amarsi, stare insieme tutto il giorno e disseppellire dalla sabbia due casette fuori porta per farne il proprio nido. Non sarà facile, Adama è destinato per sangue a divenire il capo della comunità, gli anziani premono e la madre vedova per prima, lui è riluttante, avvinto all'idea dei due cuori e - letterale - una capanna.

Per non farci assopire, gli innamorati cambiano abito a ogni inquadratura, sintomo forse di una nuova vocazione maggioritaria al Pantone, provano a resistere alla tradizione cieca e punitiva, ma quando potranno tenere botta di fronte alla siccità che desertifica, miete bestiame e pure umano?

Banel non ci sta, si strugge e lotta, novella Davide fionda-munita contro un Golia che non si vede: per affinare la mira, stecchisce uccellini e ramarri. Forse è Atena, forse è Eva, sebbene non per estrazione culturale, di sicuro pugna, lei. Adama no, tentenna, ché forse non piove perché il villaggio non ha un capo?

Si parte estaticamente à la Malick ultimo scorso, si imbarca una storia di sirene vendicative e poi si indulge nel Capannaspiel, con colori sgargianti, lacrime incipienti, vento e sabbia ad apparecchiare la bufera, moria di vacche e come si stava meglio quando si stava peggio.

Il mondo è incattivito, ma questo cinema non è la cura. Occhio, però, perché ci cascheranno: soffia il vento, ma di più lo Zeitgeist.