Dieci anni dopo i violenti scontri del Golden Gate di San Francisco, la nuova nazione di scimmie geneticamente evolute, guidata da Cesare, ha costruito la propria casa nella fitta boscaglia ai margini della città. Gli umani, quel poco che ne è rimasto dopo il propagarsi del virus letale diffuso dagli stessi primati, cercano di far fronte alle difficoltà di sopravvivere che il nuovo corso post-apocalittico richiede loro. Uno spiraglio di salvezza è rappresentato dalla vecchia diga: riassestandola, questa è la speranza, si potrebbe riacquistare un bene preziosissimo come l'elettricità. Peccato che la diga in questione si trovi nel cuore del regno delle scimmie. E il fortuito incontro con gli umani darà il via ad un'escalation di violenza e sangue: all'orizzonte è guerra. Facciamo un po' di chiarezza: stiamo parlando di The Dawn of the Planet of the Apes, regia di Matt Reeves, secondo capitolo della saga reboot iniziata con Rise of the Planet of the Apes (per la regia di Rupert Wyatt). Chiarezza sì, perché da noi il precedente si chiamava L'alba del pianeta delle scimmie e quello attuale si chiama Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie: confusione teorica che sarà ben presto fugata dal caos in cui si troveranno umani e scimmie sullo schermo. Sì, perché questa volta la questione è un po' più delicata: da una parte un manipolo di uomini, capeggiati da Gary Oldman, dall'altra una moltitudine di scimmie, capaci anche di scrivere e parlare, che riconoscono in Cesare il loro leader indiscusso. Quello di Matt Reeves è un film che ragiona anche su questo, sulla leadership e sulla messa in discussione della stessa: Cesare, meglio di altri suoi simili, ha avuto modo di conoscere anche i lati positivi degli umani e, piuttosto che mandare allo sbaraglio la sua razza, preferisce accogliere le istanze di Malcolm (Jason Clarke), tra i pochi convinti di poter ragionare con le scimmie. I lavori iniziano, e con loro l'utopia di un rapporto non conflittuale. Utopia, appunto: la violenza – unico strumento con cui sembra possibile far valere le proprie posizioni – è un cancro inestirpabile. Soprattutto per quelle scimmie che, in passato, hanno conosciuto l'uomo solamente attraverso una gabbia da laboratorio… Aiutato da un 3D che enfatizza senza troppa pacchianeria i momenti più spettacolari (l'iniziale battuta di caccia dei primati, l'arrivo in città lance in pugno e via dicendo), Matt Reeves costruisce un film che ragiona su integrazione e conflitto attraverso diversi livelli: uomini vs. scimmie, scimmie vs. scimmie, uomini vs. uomini ma è ben chiaro sin dall'inizio che, ancora una volta, il protagonista assoluto di questa nuova saga è Cesare (Andy Serkis). Non a caso, il film si apre e si chiude con il close-up sui suoi occhi, indiscutibile punto di vista con cui poter empatizzare anche in riferimento al ricordo del precedente capitolo: gli umani (“Dovete fuggire ora, la guerra non si può più fermare”) sono di “passaggio”. Ma lo scontro risolutore è rimandato. Al 2016, quando arriverà il nuovo capitolo del franchise.
Ave Cesare.