“Di che pasta sei impastato tu? C’è chi nasce pecora e chi nasce lupo”. La realtà non è così semplice, anzi è piuttosto contraddittoria. E le sue contraddizioni emergono a tutto tondo dalla storia di Antonio Zagari.

Ce la racconta Daniele Vicari nel suo ultimo film, presentato nella sezione Spotlight a Venezia 82 e dal 4 dicembre in sala con 01 distribution, tratto dall’omonimo libro scritto da Antonio Zagari, pubblicato per la prima volta nel 1992 e recentemente ripubblicato da Compagnia Editoriale Aliberti, dal titolo: Ammazzare stanca. Autobiografia di un assassino.

La storia è vera, si svolge a metà degli anni settanta nel Varesotto (protagonista è una famiglia calabrese che vive a Buguggiate, nella provincia di Varese, ma che ha fortissimi legami con i boss di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro) e parla di un ragazzo che si ribella al proprio destino criminale. Zagari è figlio di un boss calabrese trapiantato in Lombardia e capisce di non essere adatto per la malavita: uccidere per lui è fisicamente insostenibile.

Poco più di vent’anni dopo avere ucciso, rapinato, rapito, finisce in galera e decide di fermare tutto: scrivendo. Scrive di sé stesso, del fratello Enzo, della propria famiglia calabrese trapiantata in Lombardia dai primi anni cinquanta, e della ferocia di suo padre Giacomo che lo inchioda a un modo di vivere ineludibile, segnato dal destino.

Tra accento del nord Italia e stretto dialetto calabrese, il film di Vicari si inserisce lungo un genere molto cavalcato al cinema, ma riesce comunque a non rientrare nel già visto. Contribuiscono al buon risultato senza dubbio le interpretazioni degli attori: dal protagonista Gabriel Montesi, a Selene Caramazza, nel ruolo della fidanzata di Zagari ovvero una donna libera e emancipata che sarà per lui una luce di speranza riuscendo a farlo uscire da quel mondo lì, da Vinicio Marchioni, nei panni del cattivissimo boss della ‘ndrangheta e padre di Zagari, fino a Rocco Papaleo, nel ruolo di don Peppino Pesce.

Ma contribuisce anche e soprattutto quel tocco registico, un po’ pulp e tarantiniano, che vira verso l’ironia e la satira. Quel tono che poi si può ritrovare nelle pagine del manoscritto di Zagari, che il giornalista Gianni Spartà ha custodito e che come lo stesso Spartà ha raccontato a Venezia durante la conferenza stampa di presentazione del film: “Zagari si pensava come autore, forse anche come attore. Aveva letto I Promessi Sposi e Pavese e aveva compiuto sedici omicidi. Un uomo che portò i carabinieri sul posto del rapimento di Antonella Dellera. Morto in un presunto incidente stradale. Ma sono convinto che lui 'sia stato morto' ”. 

Ecco, questo film, prodotto da Pier Giorgio Bellocchio e dai Manetti bros., ha il grande merito di portare questa storia assurda e piena di contraddizioni dalla carta al grande schermo.