La regola di Lucky Red, facendo fede al suo nome, colpisce ancora. Dopo Still Life e Il matrimonio di Tuya, entrambi scelti da Andrea Occhipinti e poi vincitori a Venezia e Berlino, arriva l'en plein a Cannes con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu. Titolo criptico e allo stesso tempo eloquente, sta a indicare l'esatta durata di una gravidanza nel giorno in cui se ne decide il destino. Quel giorno che ci viene raccontato proprio dal cineasta rumeno che alla sua seconda opera ha sbaragliato la concorrenza del gotha del cinema mondiale, vincendo la prestigiosa Palma d'Oro della 60° edizione. Sfacciatamente meritata. Siamo nell'ultima Romania di Ceausescu, quella del 1987: l'interruzione di gravidanza volontaria è illegale e, quindi, inevitabilmente clandestina. Un genere di consumo atroce che si trova, come tutto, al mercato nero. La dittatura comunista aveva deciso negli anni ‘60 di proibirla perché servivano nuove e numerose generazioni di combattenti proletari (e Mungiu è proprio figlio di questo boom demografico). Verrà di nuovo reso legale dopo la caduta del Muro di Berlino e per dieci anni la Romania avrà il terribile record di un milione di aborti l'anno. Mungiu evidenzia con una storia privata le terribili contraddizioni insite in una vicenda umana, spirituale, intima, troppo spesso oggetto di strumentalizzazione politica. Ha la maturità, il coraggio, l'umiltà di non prendere posizione (non per codardia, ma per onestà intellettuale di analisi) e di mostrarci una realtà inconfutabile. E così riflettiamo sui danni che ogni proibizionismo fa, come sull'incredibile leggerezza con cui Gabita, una delle due protagonista (la bella Laura Vasiliu), prende la sua decisione. Il dibattito sulla vita poi viene reso ancora più drammatico e doloroso dalla durata di questa gravidanza (da qui l'immagine più discussa e shockante della pellicola) e dagli uomini del film, cinici e poco inclini a qualsiasi comprensione o rispetto della donna. In questo senso a rendere eccellente il lavoro di Mungiu è il personaggio e l'interpretazione di Otilia (Anamaria Marinca, meritava un premio anche lei) ponte tra le due realtà, sobria figura da tragedia greca, la vera vittima di tutta la vicenda, e il Sig. Bebe (un superbo Vlad Ivanov) personaggio durissimo da digerire. Di suo Mungiu ci mette una regia pulita, appassionatamente fredda, fatta di pianosequenza impietosi e narrazione senza scorciatoie.