Primo weekend ricco di appuntamenti al Milano Film Festival. Tra le numerose proiezioni ed eventi in programma tre lungometraggi in concorso. Due parlano di donne e del loro diverso percorso di crescita. Francine, opera prima di Brian M. Cassidy e Melanie Shatzky, con Melissa Leo, premio Oscar nel 2011(attrice non protagonista in The Fighter) racconta le difficoltà di una ex carcerata che tenta di ricostruirsi una vita, tra nuove relazioni e un rapporto ossessivamente empatico con gli animali, tra natura e “manzi” tatuati della provincia newyorkese. Un tentativo di redenzione e la ricerca di una seconda possibilità, quasi un documentario.
L'altro percorso di formazione è quello di Xing, protagonista di Song and Moon, esordio di Wu Na, premiato allo Student Film Festival di Londra. Appena diplomata, trascorre l'estate con gli amici in un villaggio tra le montagne nel sud-ovest della Cina. I sogni, i turbamenti dell'età adulta, la scoperta dell'amore e il dolore come prezzo per la maturità. Ambientato nella comunità Dong, una minoranza dalle tradizioni radicate, è ispirato alle vicende familiari della regista. Sempre dalla Cina con furore, China Heavyweight di Yung Chang, sulla boxe: ansie e desideri delle nuove generazioni del Sichuan. Dopo Up the Yangtze, l'opera seconda di Yung Chang, tra romanzo di formazione e “documentario d'azione”, racconta il riscatto umano e sportivo in un Paese che cambia.
Nella sezione Outsiders, Jaurès, premio della Giuria al Forum di Berlino. Il regista Vincent Dieutre dialoga con Éva Truffaut, figlia del maestro della Nouvelle Vague, commentando le immagini girate dalla finestra della casa dove Truffaut incontrava il suo amante. Un docufilm impossibile, nessuna immagine di repertorio, solo parole che evocano una storia d'amore di cui nulla è rimasto, solo il campo di rifugiati sotto il ponte Lafayette, sul Canale Saint-Martin, nel quartiere Jaurès. Cronaca intimista di una relazione clandestina sullo sfondo del dramma umano di una vita da clandestini.
Ma l'evento catalizzatore ed inedito del Festival sono state le due lezioni di cinema con Gabriele Salvatores e Gianni Amelio. Salvatores, intervistato da Luca Malavasi, ha fatto l'elogio della Milano anni ‘70, di un teatro e della sua comune, l'Elfo Puccini, e di tanti amici, Diego Abatantuono su tutti. “A Milano in quegli anni c'era vitalità, spinta creativa e l'illusione di poter fare stando insime. L'Elfo è stata una palestra per giovani attori, Paolo Rossi, Silvio Orlando, Claudio Bisio. Pure gente insospettabile come Luca Barbareschi. Diego è un attore straordinario, avrebbe potuto fare molto cinema in più, ma è pigro. Sulla comicità è fortissimo, ma anche nel drammatico, vedi Io non ho paura”. E ancora sulla televisione: “Negli anni '80 con le tv private, è passata un'estetica diversa che ha condizionato la grammatica cinematografica: i primi piani e i super dettagli per tenere lo spettatore incollato ad un ritmo serrato hanno contagiato anche il cinema che dovrebbe avere ritmi più lenti. La tv ha abbassato il gusto per le cose belle, per una luce e un'inquadratura o un attore che recita bene”. Per concludere un avviso ai naviganti del mondo di celluluoide alle prime armi: “Non servono scuole, bisogna provare a fare un film. Prendete una telecamera, con il digitale è semplice, e fate una storia, non aspettevi nulla da nessuno, suonate da soli, come il punk, il punk è vivo!”.
Anche lo “sfidante”, nella “battaglia” per la direzione del Torino Film Festival, Gianni Amelio, intervistato da Enrico Magrelli, ha parlato del suo rapporto con il piccolo schermo. “Ho scelto di passare alla tv per ignoranza o prigrizia, ma la tv è stata fondamentale. La sinistra non aveva capito nulla, non era abituata al comando nella comuncazione. La televisione ha fatto il più grande cinema negli anni ‘80, Padre padrone, La strategia del ragno, L'albero degli zoccoli. Condannare il suo ruolo in quegli anni è un errore”. Poi la prima lezione sul mestiere: “Il regista è come il Titanic: ciò che accade sul set è solo la punta dell'iceberg, durante le riprese si mette in scena, ma il regista non è la parte visibile, è quello che sta a casa, è regista in ogni momento della sua giornata. A girare siamo buoni tutti, dirigere è un'altra cosa”. Infine, ha regalato qualche anticipazione: “Quest'anno al Torino Film Festival ci sarà molto cinema orientale, come non c'è mai stato, da Taiwan dalla Mongolia. Il mio prossimo film, invece, lo girerò a Milano, in primavera, ancora non so di quale anno, ma il protagonista sarà Antonio Albanese”.