Fa discutere la decisione di affidare a un comitato ristretto di esperti la designazione del film che dovrà rappresentare l'Italia agli Oscar 2006. Registi, e non solo, si dividono sulla preponderante presenza di produttori tra i magnifici 15 incaricati di scegliere il film più meritevole e sui criteri che ispireranno la selezione. Conflitto d'interessi sì o conflitto d'interessi no?
Giovanni Veronesi (regista): "Penso sia giusto che il candidato italiano all'Oscar sia scelto da chi il cinema lo fa e i produttori sono quelli che conoscono meglio il nostro cinema. Mi sembra una commissione competente, ma in fondo non credo che le cose cambieranno molto, in fondo erano gli stessi a comandare anche prima. Io farei come si fa con le squadre di calcio, ricorrerei al turn-over e ogni anno darei la possibilità di votare anche ad altri produttori e registi. Anche a me piacerebbe dire la mia una volta". Quanto al film che potrebbe avere maggiori chance: "Mi stupirei se quest'anno se la scelta cadesse su una commedia come Manuale d'amore, ma sono convinto che alla fine sarà selezionato il film della Comencini, è quasi scontato".

Alessandro D'Alatri (regista): "In Italia sono sempre i produttori a decidere tutto e gli autori sono sempre messi da parte - dice D'Alatri, che per due voti manco la candidatura con Senza pelle -. In realtà comitati e commissioni non servono a niente, anche se cambiano i nomi l'effetto sarà sempre lo stesso. I film italiani che in passato hanno vinto l'Oscar sono quelli che erano già stati acquistati dagli americani, come Nuovo cinema Paradiso, Mediterraneo o La vita è bella, tutti targati Miramax, e quindi c'era qualcuno negli Stati Uniti che lavorava affinché quei film arrivassero agli Oscar. Prima ancora, ai tempi di De Sica, c'erano produttori veri, non come quelli di oggi - unica eccezione De Laurentiis e Tozzi che investono i propri soldi - che avevano un piene negli Usa e sapevano muoversi secondo una certa logica. Se poi il criterio è quello di far passare il film che si pensa possa piacere di più ai membri dell'Academy allora facciamolo scegliere agli americani stessi, così eliminiamo anche il problema del conflitto d'interessi".

Eugenio Cappuccio (regista): "Non credo in una commissione composta solo da produttori, perché si dovrebbe dar voce a tutte le professionalità del cinema. Ma è positivo il fatto che ce ne siano molti in quella che sceglierà il candidato italiano all'Oscar. Come avviene in un qualsiasi sistema democratico, quando si crea un equilibrio numerico tra forze di controllo e contrapposte il conflitto d'interessi viene meno". Per il regista di Volevo solo dormirle addosso il problema è un altro: "E' vero che i produttori, e ancora di più i distributori, hanno una visione migliore di quello che piace agli americani ma allora dovrebbero sempre produrre film che poi incassano molto negli Usa, e non mi pare che questo avvenga. E comunque c'è sempre il rischio di subordinare il valore dell'opera alla sua commerciabilità, perché non dimentichiamo che il film scelto è anche quello che riacquista un certo valore sul mercato".

Lia Morandini (costumista): "Non sono assolutamente d'accordo con una commissione composta prevalentemente da produttori e che escluda totalmente i tecnici del cinema. E' una categoria già tanto sottovalutata, per non parlare dei costumisti, mentre essendo più addentro a tutto il ciclo produttivo queste persone sono senz'altro in grado di cogliere tanti dettagli e particolari che sfuggono a un produttore. Sono contraria anche con il criterio di selezionare il film che possa piacere di più agli americani e non quello che ha un maggiore valore artistico. E' un criterio limitante. Ho come l'impressione che si stiano restringendo sempre di più i nostri orizzonti".

Paolo D'Agostini (critico di La Repubblica): "Da una parte mi sembra positivo il fatto che la selezione sia fatta in modo quasi omogeneo da una sola categoria. Contemporaneamente è chiaro che se sono i produttori a decidere ognuno tenterà di portare acqua al proprio mulino. Ma non so se esiste un criterio ideale. Anche prima la designazione del candidato italiano con un sistema assembleare era solo teorica, in realtà era sempre un gruppo ristretto di persone a decidere. Il punto fondamentale è avere la capacità di promuovere il film in America. La designazione in sé ha in realtà un valore molto scarso".

Giancarlo Leone (a.d. di RaiCinema): "Ogni sistema di selezione adottato, che sia quello di far scegliere ai 1000 giurati del David di Donatello o a un comitato ristretto di produttori ed esperti, è fallibile e soggetto a critiche. Non esiste uno strumento perfetto, ma credo che la qualità dei nomi di cui si compone il nuovo comitato sia di per se già una garanzia. La cosa migliore è giudicare dalle scelte che verranno fatte".