“Mi riesce difficile elaborarlo ancora oggi. È stata un’esperienza di forte impatto emotivo e fisico, ho trascorso anni in luoghi che non conoscevo, con una lingua che non comprendevo, luoghi dalla situazione politica e sociale confusa: ancora adesso faccio fatica a comprendere i gangli di quei conflitti. Quello che mi rimane è il profondo senso di amore trasmesso dalle persone che ho incontrato e che ho provato a raccontare, questo senso incredibile di vita che accompagna le loro esistenze, seppur vessate dalla sofferenza di una guerra costante, che regola la loro quotidianità e li costringe ad una condizione perennemente in bilico tra la vita e l’inferno”.

Gianfranco Rosi torna in gara a Venezia con Notturno (sette anni dopo il Leone d’Oro conquistato con Sacro GRA), film girato nel corso di tre anni sui confini fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, che racconta la quotidianità che sta dietro la tragedia continua di guerre civili, dittature feroci, invasioni e ingerenze straniere, sino all’apocalisse omicida dell’ISIS.

Notturno di Gianfranco Rosi

Storie diverse, alle quali la narrazione conferisce un’unità che va al di là delle divisioni geografiche. Tutt’intorno, e dentro le coscienze, segni di violenza e distruzione: ma in primo piano è l’umanità che si ridesta ogni giorno da un Notturno che pare infinito.

Notturno è un film di luce dai materiali oscuri della storia”.

“Dopo Fuocoammare (Orso d’Oro a Berlino e miglior doc europeo nel 2016, ndr) avevo bisogno di andare al di là del mare, ho buttato giù una sinossi di massima ma non avevo idea di quello che avrei trovato in Medio Oriente”, racconta ancora Rosi, che aggiunge: “Ho passato tre anni in questi luoghi per cercare un punto di vista, per cercare le persone che mi avrebbero accompagnato nel film, e mi hanno cambiato profondamente. Ho trovato corrispondenza e identificazione con loro, e vorrei che il film portasse uno sguardo diverso sul Medio Oriente. Notturno nasce dove si interrompe la breaking news, il titolone dei giornali: ho avvertito la necessità di raccontare qualcosa di più intimo, dove la storia dei personaggi potesse venir fuori anche dal punto di vista emotivo. Rimane questo senso di sospensione del futuro, e questa è una sensazione molto forte. Che futuro avrà Alì, ragazzo di 13 anni, sul volto del quale il film si interrompe?”.

Notturno
Notturno
Notturno
Notturno

Premiere mondiale oggi a Venezia, da domani 9 settembre in sala con 01 distribution, Notturno - prodotto da Donatella Palermo e Rai Cinema (in coproduzione con Francia e Germania) - è l’unico film internazionale che sarà presentato in altri importanti Festival in giro per il mondo: New York Film Festival, Toronto e Telluride, ai quali si aggiungono – notizia di oggi – il London Film Festival, il Festival di Busan e il Festival di Tokio: “Quando filmo penso sempre al grande schermo. È un punto d’arrivo questo, al di là della retorica del cinema che rinasce, che riparte, domani il film esce in sala e sapere di essere in tutti questi festival è bello, anche se non nascondo il dispiacere per i tanti bei film che sono rimasti fuori dalle varie selezioni ristrette, penso a Toronto ad esempio, dove quest’anno ci saranno solamente 50 titoli”, commenta il regista.

Che poi ritorna alla genesi del progetto Notturno e al modo in cui ha restituito sullo schermo l’osservazione e l’immersione in quei territori: “Prima di partire, avevo immaginato che avrei filmato soltanto scene notturne. Come se immergendo nell’oscurità i protagonisti, me stesso e, di conseguenza, gli spettatori del mio film, avessi potuto comunicare il senso della mia/nostra ignoranza. Dal punto di vista formale, l’idea era seducente, ma, dopo i sopralluoghi, ho sentito che era giusto abbandonarla”.

Fondamentalmente, perché “quando giro non cerco la bellezza dell’immagine, cerco un racconto, cerco un luogo, la complicità della luce, cerco di dar vita ai posti dove le persone vivono. La luce trasforma costantemente lo spazio, la meteorologia allo stesso modo incide sulla narrazione. La pioggia è un elemento fondamentale in questo film, la sfida era attendere che arrivassero le nuvole, segno di un qualcosa che via via si trasforma sotto i tuoi occhi”, dice ancora Rosi.

Notturno di Gianfranco Rosi

Per poi soffermarsi sulla natura formale del suo lavoro: “Quello che cerco ogni volta è usare il linguaggio, il rigore dell’inquadratura e una volta trovato il fotogramma far sì che si stabilisca un dialogo tra i personaggi e lo spazio. Sono più le cose che perdo di quelle che riesco a filmare. La sfida è quella di usare il rigore del cinema ma con l’autorità del documentario e del reale. Non riesco a raccontare la storia, la trama, di questo film: sarebbe sbilenco e sgrammaticato dal punto di vista di finzione, guardandolo come documentario invece ha una sua forza, una sua dinamica. Tutto quello che accade è reale, ma mi piace pensare a John Ford quando filmo”.

E per questo, “la fiducia con lo spettatore è fondamentale. Non so mai qual è la direzione che prenderà il mio lavoro, poi attraverso l’incontro, i personaggi, ogni cosa inizia a prendere forma. Penso ad esempio alle donne che ritornano in quelle stanze vuote dove i figli anni prima erano stati torturati e uccisi. Io filmavo senza capire quello che dicessero, eppure in qualche modo capivo”, spiega il regista.

Che con la mente ritorna ad alcuni dei momenti più dolorosi della lavorazione e del film stesso, in quell’orfanotrofio dove i bambini della comunità Yazida, con i genitori massacrati dall’ISIS, raccontano attraverso i disegni, attraverso le parole, i loro ricordi, le loro paure: “Quella stanza per certi versi ricorda Norimberga, un processo alla storia fatto però dai bambini. Non potevo nascondere i loro volti, ho passato un mese e mezzo con loro, ho cercato di capire come filmarli, ho chiesto i permessi, sarebbe stato ipocrita non mostrare il loro volto perché quei volti sono la storia stessa che raccontano”.

Notturno - Sentinella al confine tra Kurdistan e Iraq

Ma come amalgamare poi la storia dei personaggi prima inseguiti, poi frequentati, poi immortalati dalla macchina da presa? "Nel montaggio queste storie potevano avere tutto un altro corso e la sfida era proprio il capire quando abbandonare una storia per inseguirne un’altra, trovare questa sintesi nel montaggio non è stato facile. Come unire questi mondi separati? È l’universalità dei personaggi a rendere così fluido il racconto. La storia portata avanti da loro, non dalla geografia di appartenenza".

Infine, come si ritorna a casa, in Italia, dopo un’esperienza simile? “Tre anni in luoghi del genere ti cambiano. Sono ancora provato. Rientrato il 28 febbraio, poi è iniziato il confinamento forzato a causa del Coronavirus, ma in quei tre mesi di montaggio ho compreso meglio questa sensazione che in Medio Oriente avevo provato a catturare, di futuro sospeso, condizione che vivono abitualmente le persone che ho incontrato lì e che pensavo fosse solo di quei luoghi. Con il lockdown ho capito che quelle sono sensazioni universali”.