Impossibile non notarlo. Una volta svoltato su Southport Avenue, l’insegna al neon con le sue otto sfarfallanti lettere rosso fuoco s’impone alla vista dei passanti. Il Music Box Theater è una piccola celebrità a Chicago. Non è una semplice sala cinematografica da 700 posti (con annesso giardino per spettacoli all’aperto), ma una comunità di devoti del grande schermo, un presidio per film indipendenti, stranieri, cult e classici.

Ebbene, qui martedì scorso si è consumato uno sconcertante rito purificatore: un gruppo di registi locali si è ritrovato per presentare e discutere dei propri film da poco realizzati. Poi, terminata la proiezione, armati di fiamma ossidrica, li hanno bruciati uno ad uno. E meno male che non si gira più in pellicola altrimenti l’olocausto avrebbe avuto conseguenze drammatiche. Anche così, incenerendo una piccola scheda di memoria, l’effetto a detta dei presenti è stato sconvolgente.

Questo falò della vanità registiche non ha nulla di improvvisato, ma è il cuore di "Destroy Your Art", titolo dato a una celebrazione estrema dell'impermanenza dell'arte e della volubilità della memoria del pubblico. L’iniziativa vanta già sei edizioni. Nata nel 2017, all’inizio prevedeva che i film venissero macinati all'interno di un trituratore, ma per il pubblico era stata un’esperienza deludente. Si è così passati alla morsa, ma non tutti i registi erano abbastanza forti per schiacciare completamente i propri film. Poi si è considerato l'azoto acido e liquido, ma aveva l’inconveniente di non far sparire completamente l’opera. La soluzione è stata allora la fiamma ossidrica. L’autore, protetto da un casco, la passa intorno al proprio lavoro come se tenesse in mano un marshmallow. Qualcuno del pubblico protesta ma alla fine il rito si compie e secondo organizzatori e partecipanti sarebbe anche catartico.

Lo scopo di "Destroy Your Art", ha spiegato l’ideatrice Rebecca Fons, non è mettere in discussione la qualità dei film presentati o esaltare il nichilismo dell’artista rispetto al proprio lavoro, ma far riflettere sulla natura deperibile dell'arte e a come le persone la consumano. Certo, parliamo di lavori low-budget (talvolta costati meno di mille dollari e due settimane di riprese) e di una manifestazione che critica il consumismo dell’industria culturale con uno dei suoi caratteri più deleteri, l’esibizionismo. L’impressione in effetti è che al di là del situazionismo e del marketing che ne deriva, “Destroy Your Art” sia parte integrante di quel sistema che dichiara di voler combattere, portando all’estremo la singolarità e la natura di evento che oramai si richiede al cinema in sala.

Restano tuttavia alcune questioni che sarebbe curioso approfondire. Ad esempio: sapere che un film non ci sarà più come interferisce sul processo creativo? Un regista sarebbe disposto a rischiare di più? E come cambia l’esperienza del pubblico?

Del resto, la storia dell’arte non è nuova all’autodistruzione, da Franz Kafka che diede fuoco ai propri manoscritti a Claude Monet che tagliò quindici dei propri dipinti di ninfee poco prima di una mostra.

Non si ricordano però episodi simili nell’epoca della riproducibilità tecnica. Chissà che cosa ne avrebbe detto Walter Benjamin.